Il regista: «Ho evitato binari folli»

È lui la star della serata: «Trionfa il Verdi del melodramma. C’è grande desiderio di riappropriarsi della nostra tradizione»

Sabrina Cottone

da Milano

È l’Aida di Zeffirelli, prima che di Riccardo Chailly e forse di Verdi, anche se sembra sacrilegio il solo pensarlo. Il maestro ha studiato nei dettagli la regia di un’opera che lo lega alla Scala con un filo d’oro, dal debutto di cinquantatré anni fa, giovane scenografo pieno di sogni, all’Aida del 1963. Siamo a oggi, questo 7 dicembre 2006 che lo incorona dopo anni di esilio artistico. Un’Aida tanta, tantissima, travolgente e piena di sfarzi, un musical di livello, popolare e per intenditori. «È così Verdi, è melodramma» dice lui con occhi azzurri pronti a infilzarti. «C’è un grande desiderio di riappropriarsi della nostra cultura e della nostra tradizione. Ho voluto fare questo, senza andare su binari folli...».
Ottantatré anni, non sentirli eppure dimostrarli tutti, nello spessore di una vita degna di un libretto d’opera, miraggi da fanciullino che debordano in ogni dettaglio di scena. Il maestro incassa tredici minuti di applausi che salgono di tono appena si affaccia dai tendaggi e con gesto da attore consumato abbraccia la platea: «Sono molto commosso, mancavo da anni, c’è un’atmosfera incoraggiante come quella dei bei tempi». Regala un sorriso saggio: «Meglio di così non potrebbe essere. Prime della Scala ne ho viste tante, mi creda...».
I fiori volano giù dal loggione e dai palchi, per ringraziare degli effetti speciali, quattro cambi di scena in meno di un minuto nel primo atto, incensi che invadono la platea e i palchi, uccelli sacri che volano sul palco. Una regìa che spinge la musica, la sostiene, la incoraggia, a tratti la sostituisce, ardita come può esserlo in un uomo sicuro di sé, capace di mettersi in gioco con una padronanza senza paura di cadere nel kitsch. «Dobbiamo essere molto fieri. Stiamo cercando di fare della Scala la capitale mondiale dell’opera» dice assediato dal pubblico che lo rincorre per le scale già durante l’intervallo.
Smoking vezzosissimo, impreziosito da un panciotto di foglie nero su nero e da una luminosa sciarpa bianca di cachemire, persino l’eleganza è di chi sa di poter osare ed essere sincero: «All’inizio il pubblico era più freddo, poi sono stati presi dal fascino della recita». Parla da toscano verace anche con Prodi e signora, con il cancelliere tedesco Angela Merkel che lo riempie di complimenti. Il ministro della Cultura, Francesco Rutelli, rievoca la sua lunghissima carriera scaligera: «Più di un giubileo... L’Aida è meravigliosa, ma con Zeffirelli ha un tocco in più».
L’Autobiografia del maestro, appena edita da Mondadori, fa da ricca cornice alla prima della Scala che lo riporta al centro della scena dopo anni di penombra italiana. Zeffirelli ha sempre sospettato, e non sempre a bassa voce, che ci fosse il veto di Riccardo Muti dietro la sua lontananza forzata. Così, il successo è anche una vittoria sulle amarezze e rimette in moto ricordi potenti come Maria, Aida celeberrima e sua Callas forever. Applausi e fiori non gli sono mai mancati, ma alla Scala hanno un sapore speciale per il «figlio di Nn», o meglio di una madre volitiva e appassionata e di un padre che gli ha offerto il cognome troppo tardi, quando lui era Franco Zeffirelli e non poteva diventare nessun altro.
La prima Aida firmata Zeffirelli alla Scala è nel 1963, canovaccio di ogni recita successiva. Poi l’Aidina di Busseto, l’Aidona di Tokyo e quella dell’Arena di Verona.

Nella tensione e nel desiderio del maestro la sua quinta Aida le riassume e le supera tutte. È la prova definitiva, «l’Aida delle Aide», ha voluto chiamarla Zeffirelli. Un po’ il sogno di tornare al febbraio 1872, alla sera che fu il vero debutto di Aida dopo la prova generale del Cairo.

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