«Repubblica», ovvero la fabbrica degli scoop che poi si sgonfiano

MilanoIeri la notizia era l’assenza della notizia: Noemi non era in prima pagina sulla Repubblica. Come mai, dopo giorni e giorni di martellante campagna? Sarà un caso, o forse no. Il quotidiano di Ezio Mauro ha guidato l’opposizione in fila indiana fino al buco della serratura di Arcore e ha imposto al Paese dieci domande, dieci come le tavole della Legge, che dovrebbero inchiodare il premier. Dovrebbero, perché il partito Repubblica è maestro nel celebrare riti purificali al fonte battesimale dell’indignazione. Come poi queste cerimonie vadano a finire, è un’altra storia. E allora lo stormo degli inviati si allontana verso nuove mete. E nuovi target.
Qualche volta, a rileggere le collezioni del giornale ci si accorge che di certe ardite costruzioni, di dotte articolesse e puntuti editoriali rimane ben poco. Non importa, perché le invettive e i sospetti, una volta impaginati, resistono a tutto. Alle archiviazioni. Ai proscioglimenti. Alle sentenze. Alle smentite ufficiali o non ufficiali. Prendiamo, tanto per rimanere dalle parti del solito buco della serratura, il caso Saccà-Berlusconi. Ricordate? Cinque aspiranti attrici sarebbero state spinte verso la Rai dal premier che avrebbe personalmente perorato un parte o una particina per le sue protette. Per giorni e giorni, Repubblica ha nuotato nelle allusioni, ha collegato con consumata malizia situazioni e personaggi, ha dato conto dell’inchiesta prontamente aperta. Poi, il Pm ha chiesto l’archiviazione, il bollente caso si è raffreddato e tutta la flotta schierata - Repubblica, repubblica.it, L’espresso - è rientrata immediatamente in porto. Basta con le telefonate e le intercettazioni e gli inestricabili grovigli sentimentali sullo sfondo di questa storia. Fine. Sipario.
Pazienza. Dopo aver sparato bordate, il giornale fondato da Eugenio Scalfari posa la carta sul tavolo. E ne pesca un’altra. Tanto, almeno per quel che riguarda il Cavaliere ma non solo lui - vedi le accuse di violenza sessuale poi evaporate al portavoce di Fini, Salvo Sottile - il mazzo è infinito. E la sfilza di assoluzioni-archiviazioni-nulla di fatto non ha modificato di una virgola lo stile. Si cambia argomento e si ricomincia.
L’arte del giornalismo si declina anche così: per campagne militari. Sul campo di battaglia della società italiana. L’ultima ha come epicentro il tragico terremoto d’Abruzzo; gli inviati di Repubblica presentano una verità sconvolgente: i palazzi dell’Aquila sono stati costruiti con la sabbia del mare. Ecco perché, sparano i titoloni a tutta pagina, il terremoto li ha sbriciolati. Come sempre, la forza sta nel ripetere il concetto come un metronomo fino a trasformarlo nella colonna sonora, rabbiosa e scandalizzata, del Paese. O di una sua parte. Viene aperta un’inchiesta e il giornale girotonda su se stesso spiegando che la Procura della Repubblica si è messa sulla scia della Repubblica. Il massimo.
Poi fatalmente il tema scivola all’interno. Cominciano le precisazioni degli architetti, le smentite dei tecnici, le frenate degli esperti. Per carità, l’argomento è complesso e i dati tecnici devono essere letti e studiati in profondità. Ma, intanto, lo scoop è incartato. E il seguito è un optional. Spesso è andata così e il colpo resterà stampato nella testa dei lettori. Sempre serviti con menu speciali. Per esempio con la spy story, ribattezzata Nigergate. Per Repubblica il Sismi ha confezionato documenti falsi sul traffico d’uranio fra Niger e Irak per favorire l’intervento militare americano. La notizia si porta dietro un grappolo di scoperte, tutte trovate dai segugi di Repubblica. Maneggi. Bugie di Stato. Intrugli di vario genere. I detective arrivano ovunque. E infatti ovunque ricevono smentite. Per catalogarle, occorre fare zapping su mezzo mappamondo: la Cia, l’Fbi, il Dipartimento di Stato, il Senato americano, il Sismi, Palazzo Chigi. Gli scoop-bufala vengono demoliti a tutte le latitudini e in tutte le lingue.
Non è la prima volta. E poi tutti cadono. Repubblica però pende sempre dalla stessa parte: contro quei presunti grumi affaristico-massonici che il quotidiano romano si ostina a vedere dappertutto. Inseguendo le trame di una ramificatissima Spectre. Ogni occasione è buona. Così se la magistratura mette nel mirino per associazione a delinquere Gaetano Saya e la sua polizia parallela, i colonnelli di Mauro partono in quinta. Una storia di palette, millanterie e megalomania viene elevata a intrigo internazionale con la partecipazione del Sismi e con l’incontro segreto fra Saya e il Cavaliere Bugiardo che, tanto per cambiare, sarebbe sempre Berlusconi. Si ricama sulle attività dei bodyguard che avrebbero cercato di catturare, nientemeno, l’allora latitante Cesare Battisti. Tanto in Italia un’intercettazione, una frase obliqua, un verbale d’accusa si trova sempre. E i tamburi di guerra del quotidiano romano non smettono mai di suonare. Anche quando le inchieste, quelle vere, si afflosciano.

A volte l’ossessione complottista gioca brutti scherzi. Così Repubblica svela che gli ex magistrati del pool Gherardo Colombo e Gerardo D’Ambrosio venivano spiati dalla security Telecom di Giuliano Tavaroli. Peccato fossero solo due omonimi.

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