La resurrezione di Brown e il suicidio dei conservatori

Fino a ieri era «il segreto peggio custodito della storia» e ora non è più tale: gli inglesi andranno alle urne il prossimo 6 maggio. Lo ha chiesto il premier laburista Gordon Brown alla regina Elisabetta, che naturalmente lo ha accontentato. La novità, però, è che Brown non è più un «morto che cammina», ma potrebbe addirittura vincere.
Ieri è apparso in gran forma. Merito anche delle banane che mangia in grandi quantità per liberarsi dalla dipendenza da tavolette di cioccolato. Di certo Brown è meno stressato e l’opinione pubblica inizia a riconoscergli il merito di aver tenuto la barra dritta durante la tempesta finanziaria degli ultimi 18 mesi. Il Paese, sebbene gravato da un deficit pubblico pari al 12%, inizia lentamente a riprendersi. Non è poco.
Eppure sta rimontando più per demeriti altrui che per virtù proprie. Il protagonista assoluto è il leader conservatore David Cameron, che tutti consideravano il Tony Blair di destra. Sbagliato. Se fosse stato al suo posto Blair non avrebbe mai commesso errori da dilettante come i suoi.
Le regole del successo, in fondo sono semplici: un candidato deve puntare su poche promesse, lineari, facilmente comprensibili al grande pubblico; promesse che vanno modulate con il progredire della campagna in funzione di singoli obiettivi, ma che mai devono apparire contraddittorie. Messaggio unitario, chiaro e convincente. Chi ci riesce di solito prevale, come dimostrano i recenti successi di Sarkozy, di Obama, ma anche di Berlusconi e, in parte, della Merkel. Chi li viola perde. Ségolène Royal può confermarlo: la sua campagna fu azzoppata dalle liti con gli altri leader. John McCain si giocò le possibilità di rimonta per le oscillazioni sulle riforme necessarie per risolvere la crisi finanziaria. Veltroni non riuscì a smarcarsi dalla disastrosa eredità di Prodi e finì a fondo.
Sia chiaro: Cameron può ancora vincere, ma sta facendo di tutto per rovinarsi da solo. Il tema centrale della campagna britannica sarà l’economia, come tutti sanno da mesi, ma anziché elaborare per tempo un programma semplice e vincente, i conservatori hanno balbettato proposte che nel giro di qualche ora loro stessi hanno smentito o rettificato. Ad esempio: dapprima hanno dichiarato che avrebbero tagliato la spesa pubblica, ma poi Cameron ha precisato che le misure non erano ancora sicure e che comunque non sarebbero state immediate.
Ancora: ha scelto come potenziale ministro delle Finanze, George Osborne, che non piace al popolo e non convince nemmeno gli ambienti finanziari della City, sebbene questa fosse una nomina cruciale per un leader come Cameron che i laburisti accusano di essere inesperto e dunque inaffidabile. Non c’era nessuno di più solido e convincente a cui attribuire l’incarico? Certo, non il milionario Lord Ashcroft, tesoriere del partito conservatore, che, si è scoperto, non risiede fiscalmente in Gran Bretagna e dunque non paga le tasse di Sua Maestà. Non esattamente un esempio di virtù in un’epoca di grandi sacrifici come questa.
Insomma, Cameron è apparso amletico, insicuro, poco coerente. Risultato: i conservatori hanno visto ridursi il vantaggio ad appena 3-6 punti e ieri il Guardian dava i laburisti in grado di conquistare la maggioranza relativa.

Un colpo di scena che genera nuove dinamiche, perché per governare - e sarebbe il quarto mandato consecutivo dal 1997 - il Labour avrebbe bisogno di allearsi con i liberaldemocratici; come i conservatori peraltro in caso di vittoria. Si annuncia una campagna povera di idee ma ricca di emozioni.

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