Riapre l’arte «scacciacrisi»

In barba alla recessione, i collezionisti aumentano e i prezzi delle opere salgono. Ma non è tutto oro...

L a foto a destra, che raffigura il gallerista milanese Massimo De Carlo appiccicato al muro da Maurizio Cattelan, pare emblematica. Il recente caso della star inglese Damien Hirst che ha venduto all’asta le proprie opere per 140 milioni di euro, potrebbe infatti sferrare un duro colpo all’indispensabilità dei mercanti d’arte, da secoli al fianco degli artisti nella buona e nella cattiva sorte. In attesa di capire cosa accadrà, compresi gli effetti del crac delle Borse sul mercato dell’arte, i galleristi milanesi riaprono i battenti. E lo fanno col sorriso sulle labbra, altro che ballata sul Titanic. Da domani, per tre giorni, 41 tra i principali spazi della città inaugureranno all’unisono nell’ambito di Start, manifestazione che festeggia l’apertura della stagione. E, in barba ai titoli dei giornali, l’ottimismo è diffuso perché, per una strana alchimia, il mercato del collezionismo sembra tener duro e infischiarsene dell’inflazione. Anzi, in questi anni si è assistito alla nascita di nuove gallerie -oggi a quota 286- e all’aumento (spesso spropositato) dei prezzi delle opere. A quasi 10 anni dall’appiccicamento al muro, De Carlo gestisce la sua galleria in un loft di via Ventura a Lambrate, una piccola Chelsea milanese che raggruppa sei spazi d’arte contemporanea: «Macchè crisi. Certo, a Milano non girano i soldi di Londra o New York, ma da noi è proprio nei momenti difficili che il collezionismo rialza la testa. Mercato gonfiato? Qualche bolla c’è stata, ma perché è aumentata la domanda dai mercati emergenti e perchè molti collezionisti si sono fidati delle case d’asta anziché di noi galleristi. Il caso Hirst? Inciderà solo a livelli altissimi, una giusta punizione per certi galleristi rockstar...».
Giorgio Marconi, dagli anni ’70 ad oggi, di acqua sotto i ponti ne ha vista passare tanta. «Rispetto ad allora il mercato è molto cambiato perché ha subito la forte ingerenza del settore finanziario che investe in opere d’arte con la stessa mentalità di qualsiasi altro prodotto. Quando ho cominciato a Milano, ai tempi di Fontana e Manzoni, i collezionisti erano avvocati, medici e piccoli imprenditori. Oggi arrivano persone che manovrano ingenti risorse finanziarie, anche dal mondo della moda. Se ricomincerei? Oggi servono molti più soldi di allora...». Francesca Minini, figlia d’arte, ha aperto da tre anni una galleria di tendenza, pure lei in via Ventura. «Lambrate non è una zona dove i milanesi vengono facilmente, e gli affari migliori con i collezionisti nostrani li faccio durante le fiere... all’estero. Comunque anche qui il lavoro non manca e il pubblico si rinnova di nuovi appassionati tra i giovani, soprattutto liberi professionisti. Appassionati ma anche oculati, meno disposti ad accettare il rischio ad occhi chiusi. Ciò di cui più avvertiamo la mancanza è l’attenzione da parte delle istituzioni pubbliche verso l’arte contemporanea, cosa che darebbe maggior visibilità ai nuovi artisti. Il museo? Non serve, basterebbero validi curatori per gli spazi già esistenti». Enzo Cannaviello, che domani festeggia 40 anni di attività, rimpiange il passato: «Una volta anche a Milano le gallerie erano luoghi dove si parlava di arte e cultura, ora soltanto di mercato perché i nuovi collezionisti arrivano con i borsini delle aste in mano. E poichè, a differenza di prima, oggi vanno all’incanto anche i contemporanei, i nuovi clienti anzichè guardare le opere vogliono solo gli artisti di moda. E così anche le quotazioni volano». Elena Zonca, anche lei figlia d’arte, tratta artisti sia moderni che contemporanei. «L’arte è diventata più cara e ciò ha tagliato fuori il piccolo collezionismo.

Gli appassionati del moderno vengono quasi sempre per cercare opere specifiche per integrare la loro collezione, i giovani seguono più le mode. Amo questo lavoro, ma oggi sconsiglierei a un’amica di iniziare. I primi due anni, forse, si va in pari...».

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