Ricchi libri e cotillons

Ricchi libri e cotillons

Giovanni Arpino per non lasciare in giro il suo nome staccava con un coltellino la targhetta da coppe, medaglie e pezzi di granito, e poi abbandonava i premi sui sedili del treno. Carlo Bo, a volte, si svegliava all’improvviso dalla pennichella e, non ricordandosi dove fosse, né che ruolo rivestisse in quel momento - giurato, premiato o presidente - chiedeva al vicino: «A che premio siamo?». «Al Campione, Carlo. Al Campione». Mentre Luciano De Crescenzo a un certo punto diede ordine alla sua segretaria di non accettare inviti a premi che prevedessero - in anni pre-euro - somme inferiori ai cinque milioni: sotto quella cifra, detratte tasse e spese di viaggio, voleva dire rimetterci.
Aneddotica&pettegolezzi, come quello sul sommo giurato del Campiello - un gigante della critica letteraria italiana - il quale ogni volta che era il suo turno, qualsiasi fosse il libro da giudicare, ripeteva: «Come sopra». «Ma “Come sopra” cosa, Carlo?».
Scrivete, scrivete, qualcuno vincerà. Secondo gli ultimi aggiornatissimi calcoli di Giuliano Vigini, gran direttore dell’Editrice Bibliografica e massimo esperto nazionale di cose di carta, i premi letterari in Italia sono almeno 1.600-1.700, con un saldo attivo - tra quelli che muoiono e quelli che nascono - di un centinaio l’anno. Al netto di quelli cui si partecipa soltanto via Internet, per i quali è impossibile un censimento. Calcolando che 1.600-1.700 premi corrispondono all’incirca a uno ogni nuovo libro che esce in Italia, e divisi per 12 mesi significa circa quattro premi e mezzo al giorno, vuol dire che chiunque pubblichi un saggio, un romanzo o una raccolta di poesie ha un’altissima probabilità di vincere qualcosa prima di fine carriera. Paolo Giordano, per dire, non ha ancora iniziato e ha già vinto un Campiello, uno Strega e infilato un altro paio di cinquine.
I premi della Premiata Premiopoli Italia - Paese che in campo europeo brilla per pochezza di libri venduti e scarsezza di lettori - si riproducono per sporulazione (da cui il detto «spuntano come i funghi»), per fissione binaria (se c’è una sezione per gli editi, ce n’è anche una per gli inediti), per divisione multipla (saggistica, narrativa, poesia... ), per frammentazione (ultimamente al Bancarella e al Campiello ci sono state un sacco di divisioni), per rigenerazione (lo Strega è sopravvissuto a due morti eccellenti, come la Bellonci e la Rimoaldi), per clonazione (da cui l’accusa «si somigliano tutti»), per gemmazione (ab origine c’era solo il Grinzane Cavour, poi sono spuntati il Piemonte Grinzane Noir, e il Grinzanemontagna, e il Premio Grinzane Cavour Fondazione Carical, e il Premio Grinzane Junior, e il Premio Grinzane Cavour “Alba Pompeia”, e il Premio Grinzane Cavour “Cesare Pavese”, e il Premio Grinzane “Beppe Fenoglio”, e il Premio Grinzane “Giardini Botanici Hanbury”, e il Premio Grinzane “Terra d’Otranto”... ).
Tutti li vogliono, tutti li indicono, tutti li attendono. Tutti li criticano. Il premio-perfetto prevede un editore potente che sia molto amico della maggioranza dei giurati, i quali sono scrittori che partecipano ad altri premi i cui votanti sono gli stessi autori che hanno premiato, sostenuti in genere da una major capace di asfaltare le aspirazioni dei piccoli editori ed esperta abbastanza per iscrivere al premio-perfetto il romanzo-perfetto: in genere un libro vacuo, che ostenta disinteresse per i grandi temi del vivere civile e per lo stile, che non sia eccessivamente sperimentale nella lingua ma neppure troppo classico, altrimenti è percepito come passatista, di facile lettura ma pretenzioso nell’impianto, con un titolo partorito dall’editor più furbo che esista in quel momento sul mercato e scritto da un autore abbastanza conosciuto ma non troppo popolare, e magari telegenico. Paolo Giordano, ad esempio. Comunque, un vincitore molto meno noto della presentatrice della serata di gala e il cui nome sarà già stato dimenticato al momento della presentazione della cinquina l’anno successivo.
Io scrivo, tu premi, noi guadagniamo. L’aspetto più divertente e autorevole della questione, in linea con un modus operandi squisitamente italiano, è l’impunita e cristallina limpidezza delle liaisons dangereuses che avviluppano questa strana forma di ritualità tribale che - dal premio “Parole e brüsciti” di Busto Arsizio allo Strega - contagia tutti i concorsi letterari: la disinvolta intercambiabilità dei protagonisti. Oggi giurati, domani premiati. E contemporaneamente pure giornalisti, editor, scrittori, critici, direttori di collana i quali, notoriamente, non leggono per intero i libri che devono votare. Un po’ come se un giornalista - come chi scrive - già in giuria al Vigevano e al Mondello, intervistasse Giuliano Vigini - già membro del Tropea e dell’Alassio - sul malcostume nazionale dei premi letterari. Una cosa un po’ ipocrita, insomma.
La verità, banale come il luogo comune che vuole tutti i premi letterari manipolati dalle case editrici, è che non esistono più i premi di una volta. Lo Strega è diventato una puntata speciale di Porta a porta, il Bancarella una semplice fascetta pre-stampata, il Viareggio un salotto per signorine, l’Acqui Storia un covo di fascisti, il Campiello una cosa che gli industriali veneti continuano a scambiare con la Cultura e al Bagutta, per di più, si mangia malissimo.
Pressioni, voti di scambio, indiscrezioni, promesse, favori da chiedere, favori da rendere e autosponsorizzazioni, come quella volta che Sandro Veronesi scrisse una lettera ai votanti dello Strega per chiedere la loro preferenza. Può capitare.
In fondo, i premi sono un gioco.

Dove si vince di tutto - una bicicletta per il premio “A ruota libera”, salumi e formaggi nostrani al “Siena Terra di libri” e male che vada una bella serigrafia d’autore -, a guadagnarci sono più gli assessori in visibilità che gli editori in copie vendute, i mostri sacri hanno sempre da perdere, a partire da Italo Calvino che nel ’68 declinò la candidatura al Viareggio con il telegramma: «I premi letterari sono istituzioni ormai vuotate di significato» (dopo essere stato trombato quattro volte allo Strega), e dove le giurie non cambiano mai, mentre le regole variano da tavolo a tavolo. E sopra ci mettiamo una bella conca in vetro di Murano.

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