Whistler MountainAlberto Tomba ai Giochi 2010 come inviato per Sky, qual è stato il servizio più divertente che hai fatto?
«Dopo 22 anni sono tornato a Calgary a sciare sulle piste dei miei due ori olimpici. Un'emozione incredibile, già salendo in seggiovia avevo la pelle d'oca. Sono stato alla partenza del gigante e ho sciato l'ultimo tratto dello slalom. Poi sono anche stato in città, nella piazza delle premiazioni, ma di quella non ricordavo nulla».
Dovessi eleggere lo sciatore simbolo di Vancouver 2010?
«Aksel Lund Svindal, un oro, un argento e un bronzo. Era favorito e non ha fallito. Questa per me è una cosa da grandi».
Pare che i tuoi sms prima delle gare portino bene alle atlete che li ricevono.
«Ho scritto alla Mancuso e alla Riesch, hanno vinto tante medaglie. La Riesch è anche venuta a Casa Italia per farsi fare una foto con me, mamma mia quanto è alta, ho dovuto alzarmi sulla punta dei piedi per non sfigurare!».
A proposito di sms, tu ne hai invece ricevuto uno particolare da Giuliano Razzoli, è vero?
«Gli avrei scritto alla sera della vigilia e invece venerdì mattina mi sono svegliato e ho trovato il suo messaggio: sei pronto? mi chiedeva, e poi, ah no, cavoli, stavolta devo essere pronto io!».
Se adesso venisse qui il presidente federale e ti dicesse «Tomba lei ha carta bianca per decidere come far lavorare le squadre»... Cosa faresti?
(Ci pensa a lungo) «La prima cosa che farei è chiamare gli atleti uno a uno e chiedergli cosa vogliono fare, che problemi hanno, che obiettivi, mi farei raccontare tutto sul loro materiale, sci e scarponi soprattutto, cercherei di capire, approfondire, arricchire il rapporto personale. Poi organizzerei raduni di allenamento misti, sempre, uomini e donne assieme».
Lo scopo?
«Le donne possono solo migliorare sciando con gli uomini, che a loro volta per non farsi avvicinare troppo sarebbero stimolati a dare il massimo: farsi battere da una donna non è bello...».
Qualcuno dice che i nostri sono troppo specializzati, che dovrebbero essere più polivalenti.
«Non sono d'accordo. La polivalenza non si crea, e nelle grandi squadre è difficilmente praticabile a meno di non avere un fenomeno, perché è solo specializzandosi che un atleta riesce a emergere. Per un norvegese o un americano è più facile, sono in pochi. Anche limitarsi a una sola specialità però è sbagliato, se ne devono fare almeno due, ma uno slalomista che fa discesa io non lo capisco».
Sono sempre tanti i nostalgici del «quando c'era Tomba»: a te che effetto fa?
«Non ne posso più, sono davvero dispiaciuto per questa situazione, a volte mi verrebbe da tornare a fare gare per levare un po' di pressione ai ragazzi della squadra. Ma a chi pensa che ho rovinato generazioni di sciatori rispondo: cosa ci posso fare? Però vi è piaciuto quando c'ero io, eh! E quanto bene ho fatto io allo sci?».
L'idea di un ritorno non ti ha davvero mai sfiorato?
«Tante volte, due anni dopo il ritiro, nel 2000, avrei potuto riprendere e sono sicuro che non sarei andato male. Il problema dello sci sono i regolamenti, Schumacher o un tennista stanno fuori, tornano dopo anni e riprendono da dove hanno lasciato, con una grande macchina o una wild card. Se Tomba fosse tornato avrebbe dovuto ripartire per ultimo, in mezzo ai ragazzini nelle gare Fis. Non è giusto».
Perché quando c'eri tu non si parlava mai di piste ripide o piane, di neve molle o dura, e insomma andava quasi sempre tutto bene?
«Eh, ma questo non lo devo dire io!».
Eri il più forte e basta, è questa la risposta?
«Basta guardare il numero di gare vinte in carriera, no? 50 non sono 6 e nemmeno 10. Non basta aver vinto qualche volta per arrivare sicuri al giorno X.
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