Ricky Gianco, un rocker per tutte le stagioni

CANTAUTORE Debuttò nel 1959 poi passò al Clan. Per festeggiare pubblica il cd acustico «Di santa ragione»

«Sono un rocker vitaminico», si definisce Ricky Gianco. «È l’Andreotti della canzone italiana», scrive di lui Riccardo Bertoncelli. Il paragone non gli piacerà molto, ma Gianco è l’eminenza grigia del nostro rock e dintorni; non a caso festeggia in questi giorni 50 anni di carriera. Impossibile riassumerli in poche righe: debutto a 15 anni con Ciao ti dirò, gli anni gloriosi al Clan Celentano, le mille collaborazioni (dal chitarrista di Elvis James Burton ai Toto), i brani scritti per Mina o Paoli, il cantautorato politico (con classici di culto come A Nervi nel ’92 e Un amore) e avanti a tutta musica. Per celebrare, Gianco pubblica Di santa ragione, splendido album acustico che, tra inediti e ricordi del passato, racconta il suo universo emotivo senza scivolare nella nostalgia. «È il cd che mi rappresenta meglio, ci ho messo le cose che amo di più, non l’ho certo scritto per vendere», scherza il cantautore. In effetti i brani poco concedono alle canzoncine, con quell’elegante corredo armonico ora cameristico ora jazzato, sempre rigorosamente acustico. Così riveste con una spessa venatura di piano blues (le tastiere dell’ex Area Patrizio Fariselli) l’antica Il vento dell’est e rilegge con romantica melanconia Pugni chiusi e Nel ristorante di Alice. Poi si appropria dei temi di amici di mille battaglie come Paoli (Sassi), Tenco (Quando), Via Broletto 34 (di Endrigo, piccolo capolavoro di gelosia, amore e morte per voce e il contrabbasso di Paolino Dalla Porta), De André (un arrangiamento cameristico di Geordie, classico folk inglese tradotto a suo tempo dal maestro genovese). Un suono intellettuale, al tempo stesso glabro ed elegante ma soprattutto senza spocchia. «Comunque non ho dimenticato le sbandate nel rock e nel country - si compiace Gianco presentando le nuove composizioni - Antipatico, cui ho cambiato il testo, è molto rock, Nè sconti né saldi scritta con Massimo Carlotto è un ritmo cajun; Povero Willy è una ballad molto americana». Nei testi quel pizzico di caustica ironia che da sempre lo contraddistingue. «Come si fa a non arrabbiarsi? Tutto va sempre peggio. Se guardo brani di trent’anni fa, ad esempio quelli dedicati a Milano come Nel mio giardino ed Eclisse a Milano, trovo che poco o nulla è migliorato nei rapporti umani e sociali».


Ma lui ci prova sempre a cambiare le cose, armato solo - da buon pacifista - di chitarra e voce roca. «Vado avanti con l’entusiasmo del ragazzino: in primavera parte il mio tour teatrale e dal 18 gennaio, ogni lunedì, terrò degli happening aperti a tutti al teatro Ciak di Milano».

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