Cronache

Il ricordo L’«inventore» del nostro popolo

Se avessi dovuto pagargli il copyright, sarei in bolletta. Perchè l’invenzione della definizione «il popolo del Giornale», che poi abbiamo ulteriormente umanizzato in «la famiglia del Giornale», è tutta sua, di don Gianni.
Un giorno, al telefono, bofonchiando, come al solito, come faceva lui. Lucidissimo, come al solito, come era lui. Con parole che suonano pressappoco così. Cerco di andare a memoria. Mi sono commosso e sono diventato rosso quel giorno, sentendole per la prima volta. E mi commuovo e divento rosso oggi, ripetendole: «Vedi, Massimiliano, avete creato attorno al Giornale una comunità che sente allo stesso modo. Un popolo». Ed era il 2004, e il Popolo della libertà, quello con la maiuscola e il corsivo, sarebbe arrivato solo cinque anni dopo.
Era così, Gianni. Arrivava prima. È arrivato prima anche a capire cosa significava non solo questo Giornale, non solo queste pagine, ma cosa significava la vostra passione, il vostro cuore, la vostra capacità di essere spesso migliore dei vostri rappresentanti. C’è gente, nel Pdl, che non l’ha capito ancora oggi.
Non a caso, anche coloro che gli sono stati più vicini, spesso, hanno espresso posizioni non allineate, non banali. Alberto Gagliardi, per un lungo tratto di strada. Alessandro Gianmoena, oggi. E tanti giovani che, con lui, portano avanti il vizio di pensare e di ragionare su quello che deve essere il Pdl.
Un vizio di cui molti hanno perso l’esercizio. Un vizio che molti ritengono «roba da matti». Matti da slegare, però. Pazzi, nel senso erasmiano della parola.

Non a caso, il testo preferito da Berlusconi.

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