Riforma della giustizia, l’apertura di Napolitano: «Sì alle carriere separate»

RomaQuando arrivano sul Colle, i vertici dell’Anm sono carichi di «preoccupazioni e perplessità» sulla riforma della giustizia e sulle sue «gravi ricadute sul sistema giudiziario». Ma quando scendono si sentono «rinfrancati» dalle parole del capo dello Stato, per il quale, ovviamente, «l’autonomia e l’indipendenza della magistratura» sono «principi inderogabili». Eppure Giorgio Napolitano si spinge più avanti. Chiede l’«apertura di un confronto sulle proposte di modifica» della Carta. Invita l’associazione magistrati a partecipare al dibattito. Auspica «un clima istituzionale più sereno». E soprattutto sdogana la divisione delle carriere: sono «legittimi», spiega, «gli interventi di revisione di norme della seconda parte della Costituzione» che possono «rimodulare gli equilibri».
Insomma, tutto si può fare se si mantiene l’equilibrio, si cerca «un’ampia condivisione» e si rispetta la divisione dei poteri, «che è parte essenziale dello Stato di diritto». Del resto la Carta, ricorda, è datata 1948. Napolitano ascolta il punto di vista dell’associazione magistrati ma senza sposarlo del tutto. Anzi, incoraggia le toghe a uscire dal guscio e a dialogare. Ma pure il governo e l’opposizione devono fare dei passi. «L’apertura di un confronto sul cambiamento del titolo IV - dice - può costituire terreno d’impegno per tutte le forze politiche e culturali, e in particolare quelle del mondo della giustizia, e deve avvenire senza pregiudiziali e con la massima disponibilità all’ascolto e alla considerazione di diverse interpretazioni e proposte». Quanto ai dettagli, il Colle precisa che il testo, approvato dal Consiglio dei ministri l’11 marzo, «non è stato ancora trasmesso».
Immediata la replica di Palazzo Chigi: il provvedimento non è stato consegnato al Quirinale perché «mancava la relazione illustrativa», messa a punto in queste settimane. E il Pdl sta pensando di inserire nel corpus della riforma la responsabilità civile dei magistrati. Ma nel pomeriggio il malloppo prende comunque la via del Colle. Sedici articoli, venti pagine di accompagnamento per illustrare le motivazioni non solo tecniche, ma anche storiche della riforma. Si parte dalla considerazione che il giusto processo, introdotto nel 1999 con la modifica dell’articolo 111 della Costituzione, «rende ormai indifferibile la separazione in senso proprio tra l’ordine dei giudici e l’ufficio del pubblico ministero». E questo è il punto-chiave «da cui dipende l’effettiva equidistanza del giudice dalle parti, conditio sine qua non della terzietà dell’organo giudicante». A rinforzo della tesi, il governo cita i lavori dell’Assemblea costituente e in particolare gli interventi di Giovanni Leone, Pietro Calamandrei e Palmiro Togliatti, il dibattito sul ruolo del pm: indipendente o «organo del potere esecutivo»? Alla fine fu scelta «una soluzione intermedia» che però già da allora evidenziava «la diversa natura delle prerogative».
Il nuovo invito al dialogo di Napolitano sembra intanto ammorbidire, per ora, l’atteggiamento delle toghe. «Da parte nostra - sostiene Luca Palamara, presidente dell’Anm - non c’è alcuna chiusura corporativa ma la volontà di mantenere fermi i principi dello Stato di diritto che sono una garanzia per i cittadini».

La minaccia di uno sciopero contro la riforma appare più lontana. «La magistratura non vuole essere trascinata sullo scontro - assicura Palamara -, stiamo seguendo un percorso istituzionale». Ma su processo breve e responsabilità civile la battaglia continua.

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