Le riforme del governo: i pm che sbagliano pagheranno i loro errori

Ecco le novità del testo che il Guardasigilli Alfano ha presentato al Quirinale e che sarà varato oggi dal Consiglio dei ministri. I magistrati verranno equiparati ai dipendenti pubblici e in caso di errore il cittadino potrà citarli direttamente in giudizio

Le riforme del governo: 
i pm che sbagliano 
pagheranno i loro errori

Roma Quando sale sul Colle, alle cinque della sera, Angelino Alfano è teso e preoccupato ma gioca subito i suoi assi. I due Csm, spiega, quello per i giudici e quello per i pm, saranno entrambi presieduti dal capo dello Stato, e i magistrati potranno essere chiamati in giudizio dai cittadini: la prima novità piace molto a Giorgio Napolitano, perché significa che le toghe non saranno controllata dal Parlamento. Quando esce, due ore più tardi, il guardasigilli ha il sorriso stampato: «È andata bene. Ho illustrato al presidente il disegno di legge di riforma costituzionale sulla giustizia, Napolitano ha ascoltato, ha preso atto e ha svolto considerazioni di carattere generale che io ho recepito. Sono soddisfatto».

Sospirone, esame superato. Alfano forse si aspettava un clima diverso, un confronto più difficile. Invece tutto, o quasi, liscio. Niente gelo, come qualcuno aveva pensato. Nessuna prevenzione negativa, come altri dicevano, arrivando a ipotizzare che Alfano venisse snobbato da Napolitano e ricevuto dal segretario generale Marra. Anzi. Non si può parlare di via libera, perché il discorso, dicono le fonti, resta sui termini generali. Ma, nella sostanza, sembra che, per ora, non ci siano ostacoli da parte del Quirinale. Solo due consigli: «Cercate di ottenere la più larga condivisione possibile e provate a dialogare anche con la magistratura». Non sarà in ogni caso un cammino facile. Da qui l’invito al governo ad allargare al massimo il consenso e ad abbassare i toni: senza i due terzi, la riforma dovrà comunque affrontare un referendum. Serviranno perciò «il dialogo con l’opposizione» e la «leale collaborazione» tra le varie istituzioni.

Per il resto, carta bianca. Nel senso, come spiegano dal Colle, che stavolta non si tratta di un decreto, che deve essere minuziosamente controllato dal presidente della Repubblica prima della forma e dell’emanazione, ma di un progetto di legge costituzionale, di una riforma sistemica che avrà i suoi tempi e le sue aspre discussioni e che però è materia di esclusiva competenza parlamentare. Il ruolo di Napolitano, al momento, è quindi marginale. Anche se non è difficile scorgere le tracce dei suoi consigli e delle sue raccomandazioni sull’ultima versione, molto più soft, del pacchetto che stamane arriverà a Palazzo Chigi per l’approvazione del Consiglio dei ministri. Fino a poche ore fa il testo prevedeva che il Csm dei pubblici ministeri dovesse essere presieduto dal procuratore generale della Cassazione eletto in Parlamento in seduta comune: decidere di lasciarlo sotto la presidenza del capo dello Stato è un segnale di buona volontà che spunterà diverse polemiche.

Altro aspetto importante: almeno a prima vista, gli uffici giuridici del Colle non rilevano evidenti violazioni costituzionali nei quattordici articoli della «riforma epocale». Anzi, parecchi punti sono in discussione da tempo. Alcuni, come ad esempio la separazione delle carriere, erano previsti persino nella Bicamerale di Massimo D’Alema. E pure l’idea di prendere il toro per le corna, cioè di fare una legge costituzionale e non tante leggine tappabuchi, anche questo sembra andare verso le aspettative di Napolitano. Il capo dello Stato in più occasioni ha riconosciuto che la giustizia ha bisogno di profondi ritocchi e ha invitato a mettere in cantiere «una riforma di ampio respiro, senza ricorrere a interventi disorganici e settoriali». Concetti che ripete durante l’incontro con il guardasigilli.

E Alfano gradisce. «Sono molto soddisfatto - racconta in serata - Gli ho illustrato il testo che presenterò domani, il presidente ha ascoltato e ha fatto delle considerazioni». Positive o negative? «Si tratta di considerazioni di carattere generale che io ho ascoltato e recepito con la dovuta attenzione».

Tra queste, un dubbio sollevato dal capo dello Stato riguarda il titolo quarto della Costituzione, cioè le difficoltà di inquadrare nella Carta il nuovo ruolo separato di giudici e pm, che saranno considerati come qualsiasi altro dipendente della pubblica amministrazione e perciò potranno essere chiamati in giudizio dai cittadini. Ci saranno cose e cosette da aggiustare, ci saranno forse scontri politici da fare. Ma per ora il Quirinale non vuole mettersi di traverso. Non ancora, almeno.

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