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Il rilancio che deve aspettare

Angela Merkel vince, ma non convince. Dominate dai problemi molto gravi dell'economia e forse ancor più dalle preoccupazioni degli elettori per le loro conseguenze sociali, le elezioni tedesche non centrano l'obiettivo di un rimedio incisivo. Non c'è una maggioranza di centrodestra, ma sicuramente non vince il centrosinistra. L'ipotesi più probabile sembra quella della Grosse Koalition fra i due maggiori partiti, cioè la soluzione in linea di principio peggiore, ma preferita in cuor loro dai tedeschi. Il cambiamento atteso non sarà sufficiente per le esigenze dell'economia che non rappresenta soltanto un terzo di Eurolandia (e il nostro principale partner commerciale), ma che ha bisogno, e noi con essa, di tornare a essere un motore dello sviluppo anche a livello mondiale. Non basterà per il rilancio della crescita economica, né per la lotta alla disoccupazione, né per una riforma adeguata dello «Stato sociale» e soprattutto del sistema fiscale, forse neppure per riequilibrare la finanza pubblica rispetto a Maastricht. Già il centrodestra aveva dovuto annacquare molto (ed elettoralmente non è bastato) la sua idea di riforma fiscale, mettendo da parte all'ultimo momento Paul Kirchof fautore di una drastica semplificazione tributaria, con lo «spettro» di una flat tax (aliquota unica) al 25 per cento e con lo spostamento del carico verso i consumi. E tutto ciò in un Paese dove a un lavoratore dipendente, dopo il prelievo fiscale e contributivo, su 100 euro ne restano in tasca meno di 60. Ora, se al governo arriverà la grande coalizione, il mercato del lavoro diventerà sì meno rigido ma un po' meno lentamente di quanto servirebbe, i sussidi di disoccupazione saranno meno incompatibili con la ricerca di un posto di lavoro, gli inevitabili tagli al Welfare non procederanno al galoppo, ma probabilmente al piccolo trotto.
Non è quello che serve a un'economia che cresce oggi (si fa per dire) a tasso zero e che nel quindicennio 1991-2004 ha visto dimezzare la crescita da poco meno del 3 per cento medio annuo a poco più dell'1: per non parlare dell'8 per cento del «miracolo» postbellico, del 4 abbondante negli anni '60, e via declinando.
Un'economia con oltre 5 milioni di disoccupati, con il fardello dei Laender orientali e con una popolazione che invecchia sempre più. Un'economia che è stata in recessione per due anni e non riesce a riequilibrare la finanza pubblica. Vedremo quale sarà il punto di equilibrio che le grandi forze politiche tedesche riusciranno a trovare. Però la questione fondamentale rimane irrisolta, almeno per ora, non tanto sul piano ideologico quanto su quello dell'urgenza dei problemi: l'accettazione della globalizzazione come un'opportunità e non soltanto come un rischio.
Il problema della riforma strutturale dell'economia e nello stesso tempo di una protezione sociale di base in un Paese ricco d'Europa rimane aperto. Certo, più basilare ancora per la Germania (e non solo) è l'esigenza di riportarsi sulla via dell'intraprendenza, dello sviluppo e della sicurezza per il futuro. I limiti sociali a un cambiamento vitale per tutti sono apparsi evidenti in queste elezioni.

L'impulso del centrodestra è frenato, ma proprio per questo i bisogni dell'economia tedesca (e dell'Europa) si faranno più urgenti.

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