Roma - Il governo tira un sospiro di sollievo, ma la richiesta di portare alcuni ministeri al Nord, nella sua marginalità carica di simboli, rischia di essere la classica goccia sulla quale il vaso s’incrina. Un’autentica «grana» la considera anche il premier Berlusconi. E le rassicurazioni tante volte prestate sono state ribadite dal capo dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto: «Abbiamo già rilevato che i ministeri non possono non rimanere collocati a Roma secondo il dettato costituzionale, mentre invece possono avere sedi distaccate e decentrate di rappresentanza, bisogna lavorarci senza radicalizzare in un senso o nell’altro le posizioni».
Così minimizza anche il ministro Brunetta, sicuro che «questa battuta di Bossi sia fuori luogo, una considerazione che non interessa alla gente e certamente non dà nessun risultato: con questi chiari di luna, far dipendere la vita di una legislatura, andare o non andare alle elezioni, far cadere o no un governo da una questione come questa ha poco senso... Abbiamo altre priorità, specie nell’economia». E, a ben guardare, tra i dodici punti del diktat del Carroccio, manca proprio la questione dei ministeri. Come dire che la sua natura è appunto simbolica e identitaria, ma slegata dalla vicenda del governo.
Versato il dentifricio, però, bisogna capire se ora possa agevolmente essere rimesso nel tubetto. Perché se Pontida scalpita, il mondo romano è entrato in una fibrillazione senza precedenti. Come una falange armata, a difesa della Capitale si sono schierati la governatrice Polverini, il sindaco Alemanno, larghi settori della maggioranza (oltre che dell’opposizione). Sbarrate immediatamente le porte davanti al «barbaro» leghista: la presidente della Regione Lazio ha sollecitato un intervento del presidente Napolitano e lanciato una raccolta di firme per scongiurare un’eventualità che giudica «lo stravolgimento di un paese, dell’assetto istituzionale del governo e della vita delle persone». «Già in passato - ha spiegato - siamo stati troppo morbidi quando i cervelli delle banche si sono spostati dalla capitale al Nord - oggi non possiamo permetterlo». La speranza è che Berlusconi «mantenga l’accordo sulle sedi di rappresentanza».
Ancora più determinate le parole di Alemanno che senza mezzi termini ha definito l’uscita di Bossi una «boiata», perché «non si può sacrificare la Capitale per mantenere in vita il governo». Il sindaco di Roma è sicuro che su questo punto si arriverà allo scontro definitivo con la Lega ed è deciso a «non cedere di un passo: dello spostamento dei ministeri non interessa niente a nessuno, è un falso scopo inventato dalla Lega per eludere questioni più concrete, però dovremo dare risposte molto dure».
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