Stefano Filippi
nostro inviato a Rimini
Ex spie del Kgb riemerse dalla guerra fredda, un gruppo di consulenti finanziari italiani che gravitano su San Marino, un vorticoso giro di denaro. E una valigetta con 10 chili di uranio arricchito che per anni ha viaggiato per l'Europa e ha fatto una tappa di quattro mesi in un garage di Rimini: un ordigno «per uso bellico» fabbricato ai tempi dell'Urss che ora cerca un compratore. Questo copione alla Ian Fleming è tutto in un fascicolo sul tavolo del procuratore capo di Rimini. Inchiesta delicatissima e ancora aperta, con i magistrati e la squadra mobile della città romagnola da 10 giorni alla caccia della valigia atomica e dei suoi enigmatici possessori.
Come tutte le spy story che si rispettino, anche questa viene dal freddo. Parte dal montagnoso Tagikistan, ex repubblica sovietica stretta tra l'Afghanistan e il Karakorum che ospitava laboratori nucleari. Nei primi Anni 90 il controllo dei centri si smaglia. Due barre da cinque chili ciascuna di uranio arricchito, potenza complessiva un chilotone (equivalente a un milione di chili di tritolo), imboccano la via di Mosca e da lì sbarcano in Europa protette da barbe finte di vari Paesi. Approdano a Zurigo, poi a Basilea.
Un anno fa dalla Svizzera un ex agente ucraino del Kgb entra in contatto con due connazionali che da tempo vivono sulla riviera romagnola. Rimini è ormai una meta prediletta dei turisti dell'est ma anche fulcro di traffici sporchi: prostituzione e riciclaggio dei soldi delle mafie orientali. San Marino è un canale storico extraterritoriale attraverso il quale negli Anni di piombo sarebbero affluiti dall'Urss all'Italia finanziamenti illeciti e materiale bellico. Sui rapporti tra Kgb e terrorismo rosso italiano sta indagando Mario Scaramella, consulente della commissione parlamentare d'inchiesta sul dossier Mitrokhin presieduta da Paolo Guzzanti. Proprio su mandato della commissione l'esperto è salito il mese scorso sul Monte Titano per verificare le voci che certi contatti sarebbero stati riattivati. Il 2 giugno, quando i riscontri si sono fatti consistenti, Scaramella presenta un esposto al questore di Rimini, Cesare Palermi.
La squadra mobile individua quattro persone che avrebbero maneggiato la valigetta, consulenti finanziari di Rimini, Riccione e Verucchio raggiunti dalle ex spie ucraine. G. Ge., G. Gr., G. Gu. e E. O. vengono convocati in questura e interrogati per un giorno intero. Uno solo ha precedenti penali. Il gip starebbe vagliando la richiesta di arresto. Tre degli indagati avrebbero ammesso un parziale coinvolgimento e G. Gr. addirittura confessato di avere custodito nel garage di casa per circa tre mesi, lo scorso inverno, la valigetta nucleare proveniente dalla Svizzera. Secondo i verbali, i quattro sarebbero stati semplici intermediari. Legati a istituzioni e professionisti della galassia finanziaria sammarinese abituati a muoversi nell'ombra, si sarebbero dati da fare per ottenere adeguate garanzie economiche all'operazione che vale 600 milioni di euro.
Non è chiaro chi doveva essere l'acquirente, è uno dei tanti aspetti su cui gli inquirenti tentano febbrilmente di fare luce. Negli interrogatori i riminesi hanno parlato di una società con sede in un Paese europeo specializzata in sistemi di puntamento, che però potrebbe essere stata usata come paravento magari di qualche centrale del terrorismo internazionale. I quattro avrebbero preso in consegna la valigetta, l'avrebbero conservata e restituita dopo che l'affare è sfumato. L'ordigno però sarebbe ancora in Italia.
Non si tratterebbe di una «bomba sporca» né di materiale di scarto da assemblare, ma di un congegno tattico predisposto a scopi bellici che unito a un sistema di puntamento potrebbe trasformarsi in un'arma devastante. I dieci chili di uranio di per sé non sono nocivi: sarebbe più pericolosa una cassa di rifiuti di un reparto ospedaliero di radiologia. Tuttavia la valigetta emette radiazioni, chi vi si avvicina è come se restasse esposto a quattro radiografie. Il vero rischio è però quello di una percussione tra gli elementi: se fosse uranio altamente arricchito, come parrebbe, un contatto potrebbe scatenare la reazione nucleare. Un pericolo che resta ipotetico finché non si rintraccia l'esplosivo.
La fuga di notizie ha irritato la questura, ieri chiusa in un riserbo totale. Le indagini della polizia sono in pieno svolgimento, con perquisizioni e controlli in un'area piuttosto ampia.
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