La ripresa che rallenta

Se c’è un errore che Ben Bernanke non può commettere con una ripresa a rischio di mutazione in chiave recessiva, è quello dell’inazione. La Federal Reserve, semmai, è condannata a un forzato interventismo, pur con margini resi ristretti dal sostanziale azzeramento dei tassi. Il summit sulle colline di Jackson Hole, abituale luogo di ritrovo nel Wyoming per la Fed dall’ormai lontano 1978, è dunque servito al capo della banca centrale Usa per mandare un messaggio forte e chiaro: siamo pronti ad agire, a fare di più se necessario, a protezione della ripresa.
La parola stimolo, tra le più usate al tempo della crisi, resta sfortunatamente di moda. La crescita tra il quarto trimestre 2009 e il 2010 aveva creato l’illusione che l’avvio della exit strategy fosse ormai vicino. La revisione del Pil tra aprile e giugno all’1,6% dal +2,4% della stima preliminare ha invece riportato definitivamente tutti con i piedi per terra, pur essendo la correzione meno peggio del previsto. Allarma, comunque, l’appiattimento degli utili societari (da +11,4 del primo trimestre a +0,1%) e la zavorra del deficit commerciale, capace di sottrarre tre punti percentuali al prodotto lordo. «La crescita di recente è stata meno vigorosa di quanto ci aspettassimo», ammette il successore di Greenspan, ma ci sono le «precondizioni per un’accelerazione nel 2011». Che rischia però di non impattare sul mercato del lavoro, dove si assisterà a una «ripresa dolorosamente lenta».
Prospettive poco rosee che impediscono a Bernanke di riporre il manuale anti-crisi: così, ecco delinearsi il progetto legato ad altre massicce operazioni di acquisto di attività finanziarie, soprattutto titoli di Stato e obbligazioni legate a mutui. L’obiettivo della Fed è duplice: far abbassare i tassi di interesse e incoraggiare gli americani a spendere di più. Ma Bernanke non esclude neppure il taglio degli interessi sui depositi presso la banca centrale, fino all’arma più drastica del «rialzo dell’obiettivo d’inflazione al di sopra dei livelli compatibili con la stabilità dei prezzi». La deflazione «non è un rischio significativo».
È un piano d’azione che rischia di trovare resistenze all’interno del board della Fed. Nell’ultima riunione del 10 agosto, l’istituto Usa aveva già annunciato l’intenzione di acquistare T-bond sfruttando i ricavi realizzati dai titoli legati a mutui ipotecari in scadenza. Il vertice della Fed si era però quasi spaccato sulla decisione, giudicata da alcuni governatori prematura, inefficace e in grado di confondere gli investitori.
Dall’altra parte dell’oceano, l’Europa non gode poi di migliore salute.

«Situazione ancora difficile, ma le misure prese dai governi fanno ben sperare per il futuro», dice il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso. Quanto all’Italia «per alcuni aspetti è messa meglio di altri, ma ha grosse difficoltà su debito pubblico e deficit di bilancio».

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