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A rischio i finanziamenti di Farmindustria

Il senatore di An: «Serve un accordo che non destabilizzi di più la filiera regionale»

Antonella Aldrighetti

All’impasse amministrativo della giunta Marrazzo, prolifico dopo un anno e mezzo di governo solo di pretestuose polemiche propagandistiche nei confronti dei predecessori sul rendiconto finanziario ereditato, si sommano pure le politiche sanitarie centrali che pongono sul tappeto la riduzione del 5 per cento dei tagli alla farmaceutica regionale. Già, ci mancava che il governo Prodi tirasse dritto su provvedimenti che a breve termine non solo affosseranno l’industria e la ricerca farmaceutica del Lazio, che vanta ben il 20 per cento delle aziende farmaceutiche della penisola, ma freneranno pure quel contributo, pari al 25 per cento della produzione, all’export nazionale.
È di ieri la notizia del mancato accordo tra governo e Farmindustria sulle metodiche di rientro per lo sforamento del tetto sui prodotti farmaceutici che imporrebbe alle aziende produttrici di medicinali la partecipazione al rientro per una quota pari al 60 per cento mentre, per la restante partecipazione, questa starebbe alla Regione. E nel Lazio a oggi la porzione di sforamento è dell’1,1 per cento. Vale a dire: «Sono 2 miliardi di euro circa sul collo delle industrie farmaceutiche che non ritengono sostenibile - asserisce Cesare Cursi (An), in qualità di vicepresidente della commissione Sanità del Senato - senza un accordo sul programma di partecipazione al rientro, continuare a dare seguito ai finanziamenti destinati a ricerca e innovazione, al budget messo a disposizione per convegni e congressi destinati ai professionisti del settore, alla quota destinata all’educazione continua in medicina, l’Ecm per dirigenti medici ospedalieri di base, nonché di corsi appositi destinati al resto del comparto sanitario. Riteniamo che se non si perde tempo si potrà riuscire a produrre un accordo che non destabilizzi ulteriormente la filiera del Lazio e di modo che non venga congelato l’accordo di programma per l’incremento dell’industria farmaceutica locale».
Solleva la «questione Lazio», l’esponente di An, perché con questi chiari di luna si rischia di ripartire da zero sulle ipotesi di sviluppo battute fino a oggi. «E un brutto colpo per tutte le industrie presenti nella regione, dalle zone del Frusinate a quelle a sud della capitale nell’area pontina. Qui, soprattutto, c’era in progetto di ampliare alcuni stabilimenti specifici. Ora con queste politiche al ribasso è il primo punto a saltare e a non consentire nuove assunzioni. Anzi. Per determinare l’entità dell’effetto penalizzante sulla filiera - precisa il senatore - si comincerebbe subito con la cassa integrazione: a rischio intanto ci sarebbero almeno 1.500 posti di lavoro. Ma le ricadute sul settore innovativo già programmato con il piano investimenti e l’ampliamento produttivo previsto con l’accordo già stipulato non tarderanno ad arrivare: il programma prefissato a inizio 2006 consisteva nel fare del Lazio non solo una regione leader nella produzione farmaceutica, ma anche una regione leader nell’esportazione dei medicinali».

Ma c’è ancora qualche possibilità di manovra per non mandare tutto definitivamente all’aria? «C’è qualche possibilità - ribatte schietto Cursi -, fino a oggi è stato allestito un tavolo tecnico dove il ministro Bersani e il ministro Turco hanno ascoltato le istanze di Farmindustria e parlato a loro volta, però non è stata accennata alcuna bozza di programma che renda sostenibile l’impegno delle industrie alla partecipazione della quota di sforamento».

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