Controstorie

Risiko tra Russia e Bruxelles per spartirsi la Macedonia

I nazionalisti di Vmro, spinti da Mosca, hanno dato l'assalto al Parlamento a guida socialdemocratica

Osvaldo Spadaro

M ancavano solo i fumogeni. Per il resto c'erano sciarpe biancorosse «Macedonia», una buona dose di violenza, cori e inni intonati a squarciagola, bandiere con il sole nascente giallo: sembrava la curva dell'Arena Philip II di Skopje. Era il Parlamento. Invaso con la forza, la sera del 27 aprile, da decine di attivisti del movimento Macedonia Unita, assai vicino alle posizioni del partito nazionalista Vmro-Dpmne di Nikola Gruevski, l'ex premier. Militanti che, consapevoli o meno, sono le pedine di una nuova gigantesca partita di Risiko che si sta giocando in Europa Orientale e nei Balcani. Alle tante questioni aperte da anni (Ucraina, Transnistria, Georgia) sembra se ne sia aggiunta un'altra: l'ex Repubblica jugoslava della Macedonia. A contendersi la vittoria da un lato la Russia di Putin, dall'altro l'Unione Europea. A sfidarsi concretamente sul campo il partito nazionalista Vmro spalleggiato dalla Russia e i socialdemocratici europeisti di Zoran Zaev (finanziati, pare, anche da George Soros); con la minoranza albanese (un quarto dei due milioni di cittadini macedoni) e i suoi rappresentanti politici a far da esplosivo, miccia e detonatore. Questa volta a gettare i dadi è stata a suo modo la Russia che ha mosso i suoi tre carrarmatini per conquistare la Macedonia, o meglio, per non rischiare di perderla. L'assalto infatti è solo l'ultima, e più cruenta, tappa della crisi politica che sta toccando il Paese balcanico da oltre un anno. Ovvero da quando è scoppiato un clamoroso scandalo delle intercettazioni illegali che ha coinvolto il partito allora al governo, l'Vmro in carica dal 2006. Nelle registrazioni rese pubbliche nel 2015 dai militanti socialdemocratici erano impresse conversazioni di ventimila persone: la maggior parte politici d'opposizione, ma anche giornalisti, uomini di chiesa e membri dello stesso governo. In un clima di intimidazione generalizzata sono venute alla luce testimonianze evidenti di corruzione, di brogli elettorali e ogni tipo di nefandezza, compreso il tentativo di insabbiare qualche caso di omicidio. Uno scandalo che ha portato alla caduta del governo, con Gruevski che accusava imprecisati servizi segreti stranieri di aver inventato tutto. E alla successiva amnistia con cui il presidente Gjorge Ivanov, emanazione dell'Vmro, aveva concesso la grazia a 56 politici implicati nella vicenda. Amnistia ritirata dopo che per giorni la capitale Skopje è stata invasa dai manifestanti che gridavano al colpo di stato. Reset e nuove elezioni, posticipate per due volte, e infine celebrate a dicembre.

La crisi di queste settimane rischia di spargere ulteriore benzina sul fuoco. Tutto è nato da una disputa di coalizione. Alle urne il Vmro-Dpmne ha ricevuto, seppur di pochissimo, il maggior numero di voti, ma non è stato in grado di costruire una maggioranza di governo. Cosa che invece sarebbe riuscito a fare il partito socialdemocratico grazie a un accordo con Ali Ahmeti e i partiti che rappresentano la minoranza albanese. La sera del 27 aprile insieme avevano eletto un nuovo presidente del Parlamento, l'albanese Talat Xhaferi, prima che l'invasione degli ultrà nazionalisti facesse precipitare tutto. Una situazione caotica, causata anche dalle manovre del presidente Ivanov, che a parole fa il garante della democrazia, ma non ha mai affidato al segretario Zoran Zaev il mandato di costituire un governo. La scusa? Avallando le pretese della minoranza albanese avrebbero distrutto il Paese. Motivo del contendere l'applicazione degli accordi di Ohrid, siglati dopo le violenze interfoniche del 2001, secondo cui l'albanese sarebbe dovuto diventare lingua ufficiale nelle regioni in cui la minoranza supera il 20% della popolazione. Accordi sempre disattesi e che adesso i socialdemocratici si dicevano pronti a onorare.

Insomma, un gran casino in cui ognuno dei contendenti agita lo spettro della catastrofe e della guerra etnica. Ali Ahmeti, l'uomo forte della minoranza albanese, dice che sta facendo di tutto per tenere buoni i nazionalisti radicali albanesi. Il Vmro-Dpmne soffia sul fuoco, più che altro per non perdere il potere. Del resto il partito prende il nome dalla vecchia Organizzazione rivoluzionaria interna macedone, il movimento guerrigliero che un secolo fa combatteva per l'indipendenza dall'impero ottomano. Molti dei fondatori erano stati nazionalisti macedoni, anti-comunisti e fieri oppositori di Tito, di cui però avevano preso lo stile, secondo cui la politica significa prendere e conservare il potere con ogni mezzo disponibile. E oggi teme che con un nuovo governo si possano spalancare le porte del carcere per molti degli esponenti politici più in vista. I socialdemocratici sperano nell'appoggio dell'Unione europea e confidano che si riapra il processo di adesione iniziato nel 2004, ma accantonato da Gruevski. E così la situazione è in stallo, ma sempre sull'orlo di esplodere. Con la Russia che, dopo le violenze del 27 aprile per bocca del suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov, ha accusato apertamente i socialdemocratici di voler conquistare il potere «violando le procedure» e la Ue e gli Stati Uniti di «una evidente interferenza» con lo scopo «di assecondare i progetti di una Grande Albania che porterebbe alla distruzione della Macedonia». Questo mentre l'Unione europea auspica che «le forze politiche riprendano il dialogo in modo da procedere convintamente verso l'integrazione europea». E la Nato invita al dialogo tra le parti e al rispetto della democrazia.

Il tutto in un Paese sempre più diviso che negli anni ha cercato di costruirsi da zero una sua identità, arrivando a dichiararsi a suon di statue erede diretto di Alessandro Magno. Anche se in realtà i moderni macedoni discendono dalle tribù slave arrivate dopo la caduta dell'Impero Romano, e riuscendo così a far infuriare tutti: greci, albanesi e perfino bulgari.

Perché a partire dal nome dalla sua nascita, nel 1991, Atene ha imposto che nella comunità internazionale il Paese venisse ufficialmente chiamato Fyrom, acronimo inglese per l'Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia , nulla in Macedonia appare davvero pacifico.

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