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Risse democratiche, Veltroni si candida a leader della minoranza anti Bersani

A Cortona, in una severa cornice monastica che si addice alla severità dei tempi, al seminario di Area democratica, l'ex segretario sale in cattedra e bacchetta tutti, da Castagnetti a Franceschini: "Torniamo alla mia linea del Lingotto"

Risse democratiche, Veltroni si candida 
a leader della minoranza anti Bersani

Roma Il governo è in altre mani; il partito pure, e dunque non resta che competere per la guida della minoranza interna alla minoranza.
A Cortona, in una severa cornice monastica che si addice alla severità dei tempi, al seminario di Area democratica ieri è stata la giornata di Walter Veltroni. E la standing ovation che ha accolto il suo intervento ha segnato il ritorno in campo di un ex leader che si è stancato di stare in panchina, anche nella corrente che con il suo successore Dario Franceschini ha fondato. Sarà che Veltroni si è sentito rimotivato dall’analisi del professor D’Alimonte («Il risultato del Pd nel 2008 fu straordinario, ma fu buttato via»), sarà che la maggioranza che ha vinto l’ultimo congresso non se la passa granché bene, fatto sta che il piglio di ieri non era quello di un pre-pensionato dalla leadership. Un avvertimento chiaro lo ha mandato anche alla sua area, con quel secco altolà alle pericolose evocazioni scissionistiche risuonate in qualche intervento. Da quello di Pierluigi Castagnetti, che ha accusato il gruppo dirigente bersanian-dalemiano di voler «spaccare il partito», spingendo le componenti centriste «ad andarsene»; a quello dello stesso capogruppo Dario Franceschini, secondo il quale «o il Pd cambia passo o è destinato a spegnersi o dividersi». Fino ai rumorosi malumori di Peppe Fioroni, che dal giorno delle Regionali ripete che forse si prendevano più voti prima, quando i cattolici stavano coi cattolici e gli ex Pci con gli ex Pci. «Noi non ci scinderemo mai - ha scandito Veltroni, per dissipare ogni equivoco - perché siamo noi quelli che hanno fatto nascere il Pd e lo vivono come un approdo e non come un passaggio. Ci abbiamo messo tanto tempo a fare il Pd - aggiunge - e a nessuno è consentito di disfarlo». La risposta di Franceschini arriva subito via Twitter: niente paura, «chiediamo un cambio di passo per amore verso il partito che abbiamo fondato, non per minacciare una scissione».
Una sorta di rivendicazione di paternità sul progetto del Pd, quella di Veltroni, secondo il quale non si può che tornare alle radici originarie, quelle del Lingotto e della «vocazione maggioritaria»: le sue insomma. Anche perché, ha spiegato l’ex leader, tutti i fatti degli ultimi mesi si sono già incaricati di smentire il mutamento di rotta impresso dalla segreteria Bersani: «Sostanzialmente la mozione Bersani era fondata sull’alleanza con l’Udc e sul ritorno al partito con la “p” maiuscola». Invece, commenta, «guardiamo ai dati: sull’Udc ha già parlato D’Alimonte (secondo il quale il partito di Casini perde quando si allea con il centrosinistra, ndr); per quanto riguarda l’idea di fare un partito pesante è sbagliata: ci vuole un partito moderno, aperto, capace di interpretare un bisogno reale». Ora poi si rischia un «altro grave errore», avverte: «Meno parliamo di Cln anti-Berlusconi e meglio è», perché «non ci sono scorciatoie, non ci sono Cln, che tra l’altro i nostri partner non vogliono: più ne parliamo, peggio è».
Non basta però il ritrovato entusiasmo veltroniano a tirar su il morale di un partito che in molti descrivono in stato disastroso. Paolo Gentiloni accusa il Pd di «mettere al margine tutte le culture tranne quella ex Pci», e denuncia la «vocazione minoritaria» dei vertici. Marco Minniti parla di un «progetto che si sta logorando» e si stupisce che «nessuno getti l’allarme davanti alle tante scissioni silenziose» dal Pd. Debora Serracchiani ironizza: «Siamo tanto affascinati da Fini perché ha il coraggio di dire quello che dovremmo dire noi».

E quando sale sul podio il ventitreenne Andrea Valli, sembra di risentire il Nanni Moretti di piazza Navona: «I nostri leader? Sono tutte persone ottime, ma nessuno gli crede più».

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