I più esacerbati diranno: «E allora? Anche i ricchi piangano». E vagli a spiegare che i sammargheritesi sono gente comune, lavoratrice, iscritta al folto club del ceto medio ma con lineetta rivolta verso il basso stante un costo della vita poco invidiabile. Poco adusi alle recriminazioni, non bastasse: se questo è il prezzo da pagare per vivere in una realtà altra non solo dai grandi centri ma anche dalle più turbolente cittadine limitrofe, così sia. Qualità ambientale, tranquillità e sicurezza. Esiste un posto migliore dove abitare e metter su famiglia? Probabilmente no. Ora il timore è quello di dover usare il passato imperfetto.
Facciamo un passo indietro, a giovedì mattina: mi reco in Comune, a raccogliere le informazioni del giorno e le impressioni dei politici che la mattina fanno capolino. Mentre dialogo con un assessore, Mauro Foppiani, a ruota si presentano tre cittadini, scandalizzati da quanto sta accadendo in piazza della Chiesa: un piccolo manipolo di sbandati slavi intenti a gozzovigliare, sporcare e improvvisare spogliarelli. Scene che si ripetono da mesi al pari di furti in casa, molestie, imprecazioni e risse. Una signora invoca manifestazioni sotto la caserma dei carabinieri, un'altra rimpiange i treni in orario e i metodi che prescriveva Lui, una terza inveisce contro la mensa dei frati Cappuccini, che molti indicano come causa dei mali. Arriva un altro assessore, Marco Arecco, anch'egli su tutte le furie. «Basta con questo buonismo!», tuona. Passa il comandante dei Vigili, che sbotta: «Noi non possiamo farci nulla e non illudiamoci che il nuovo decreto legge risolverà i problemi». Provo a spiegarvi perché.
Poche sere fa mi trovavo nel meraviglioso scenario di piazza del Sole, quando hanno fatto capolino tre giovanissimi. Italiani. Uno di loro ha iniziato a scalciare panchine e cassonetti. Si è poi avvicinato. «Ti devo uccidere», mi ha fatto sapere.
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