Cultura e Spettacoli

Il ritorno della fatina new age «Canto in una lingua nuova»

Dopo cinque anni esce Amarantine. «Per “Il Signore degli anelli” ho lavorato sei mesi. In tre nuove canzoni parlo in “Loxian”»

Paolo Giordano

nostro inviato a Parigi

Bentornata Enya, lei non pubblicava un ciddì da cinque anni. Perciò per Amarantine ha fatto le cose in grande: c’è anche una canzone in giapponese.
«Ho sempre cantato in tante lingue, dal gaelico che si parla nella mia Irlanda, fino allo spagnolo o al latino. Stavolta la mia paroliera Roma Ryan è stata ispirata da un sonetto del poeta giapponese Basho, però quando ha tirato giù il testo in inglese, non ci piaceva. Allora ecco che il titolo Wild violet è diventato Sumiregusa, che in giapponese significa appunto viola acceso».
In altri tre brani la lingua è ancora più complicata. Anzi, è del tutto inventata.
«È il “Loxian”. Anche questo è frutto della fantasia di Roma, è un linguaggio che ha creato lei. All’inizio avrebbe dovuto chiamarsi “Errakan”, che in gaelico indica più o meno la gente che viene dalla Luna. Ma Loxian è più bello».
Sembra che stia parlando di musica indigeribile. Però sessantacinque milioni di persone hanno comprato i suoi ciddì e lei è tuttora uno degli artisti più venduti del mondo. Ma di quale mondo: pop, classico o new age?
«Lasciamo stare le catalogazioni, quelle fanno comodo solo ai rivenditori per scegliere in quale scaffale mettere i miei album. Io amo la musica, l’ho sempre amata ma se devo scegliere direi che sento più vicine le melodie classiche o tutt’al più operistiche».
Però dicono che lei sia new age.
«È una definizione che si sono inventati in America. Non sapevano in che casella mettermi allora ne hanno coniata una nuova. Ma nessun artista new age ha venduto tredici milioni di copie di un solo disco come ho fatto io».

D’accordo, Enya è una cantante senza volto, se l’è spento, cancellato dagli schermi commerciali. Difficile trovarla spiattellata su qualche manifesto al muro oppure diluita in migliaia di spot. Ma la voce. Basta la voce. Apollinaire scrisse: «Egli li spinse. Essi volarono». Enya sarebbe il suono di quel volo, la sua voce è senza forza di gravità e per fermarsi dentro le canzoni ha bisogno dell’àncora tecnologica, di arrangiamenti sofisticati, sognanti, fluidi. Ecco Amarantine. L’altra sera, quando lei ha presentato questo nuovo ciddì nel castello seicentesco di Vaux - Levicomte, a cento chilometri da Parigi, parlottava con gli amici timida come una lavandaia al dì di festa non fosse per quell’abito rosso e il pendente che precipitava sulla scollatura della schiena fino ai glutei. E ora qui, in una saletta del lussuoso Plaza Athénée, schierata di fianco a Roma Ryan e al produttore Nicky Ryan, spiega come si fa a essere (nel 2001) l’artista più venduta del mondo e (sempre) una delle più riservate, sbrigliata da ogni legaccio di gossip e persino dall’obbligo di scendere sulla terra per andare sul palco a suonare dal vivo.
Enya, lei non ha quasi mai cantato in pubblico.
«Ma non ho rifiutato l’idea di farlo. Solo che è difficile trasportare in scena una musica complessa come la mia. Poi i miei cd hanno sempre funzionato senza concerti, quindi... Una sera a cena il capo della mia casa discografica ha detto: ma sì, è facile, prendi un basso, una batteria, le tastiere e poi li metti così e cosà. Ho risposto: arrivederci, sarà per la prossima volta».
Quando?
«Probabilmente farò un mini tour, una sorta di evento. Vorrei creare uno spettacolo alla Hector Berlioz, col coro e l’orchestra ad accompagnare la mia voce. Ma è difficile mettere insieme tutti gli impegni».
È una perfezionista.
«Ho sempre pensato che per fare quello che si vuole sia necessario il tempo giusto. Questo album mi è costato due anni di lavoro. E solo per i due brani della colonna sonora del Signore degli Anelli - La compagnia dell’anello, cioè The council of Elrond e May it be, che ha guadagnato una nominaton agli Oscar, ho speso sei mesi, sono persino andata in Nuova Zelanda ad assistere alle riprese e alla proiezione delle prime immagini».
Lei ha composto brani anche per L’età dell’innocenza di Scorsese e Cuori ribelli con Cruise e Kidman.
«L’Oscar per la musica è uno dei traguardi che mi mancano».
Molti dicono che lei sia l’araba fenice del pop. Scompare e poi risorge.
«Ma il mio sogno, la mia idea di perfezione è già nel titolo di questo disco, Amarantine. È il fiore che non appassisce mai. Quando ho composto quella canzone e ho sentito la melodia, ho capito che era il titolo giusto.

Già per gli antichi greci quella parola voleva significare eternità, era il sole che non tramonta».

Commenti