La rivoluzione dei sei penny: libri meno cari delle sigarette

Londra
Un pinguino in campo azzurro, arancione, rosa - secondo la collana - sanciva settant’anni fa la nascita del libro tascabile più famoso del mondo che dava al grande pubblico la migliore narrativa, i migliori scritti biografici, di viaggi, i thriller più avvincenti. Una copertina austera a strisce orizzontali, immediatamente identificabile e sinonimo di garanzia culturale, i Penguin Books divennero presto un’istituzione britannica che doveva avere un forte impatto sulla vita culturale e politica. Non sarebbero mancati rivali come i Pan, Corgi, Fontana, ma il Penguin divenne sinonimo del paperback per eccellenza. A idearlo fu Allen Lane, l’editore che vantava fra i nonni quel geniale John Lane che a fine Ottocento fondava l’influente rivista The Yellow Book. Il nuovo libro doveva essere piccolo e maneggiabile, rappresentare le punte letterarie e le più vive tendenze nella cultura britannica, essere alla portata dei lettori di ogni ceto sociale e non costare più di un pacchetto di sigarette, a quei tempi sixpence, sei penny.
Nato nel 1902, nel panorama editoriale britannico Allen Lane era un uomo di fiuto, giovane direttore della Bodley Head non esitò a pubblicare l’Ulisse di Joyce quando T.S. Eliot alla Faber non osava. Negli anni Trenta cercando una via d’uscita alla recessione incombente e sfidando l’opposizione interna della casa editrice decise nel 1935 di lanciare una serie di tascabili la cui idea gli era venuta in treno ritornando da un fine settimana in campagna da Agatha Christie. Fu una segretaria a suggerire il nome della nuova serie, la stessa che fu prontamente spedita allo zoo di Londra a disegnare un pinguino dal vero. Il mercato e i librai erano ostili, Lane si mise in proprio, pubblicò anche testi nuovi e in breve tempo il pinguino, immobile o danzante, con o senza collare bianco, divenne il simbolo di una rivoluzione culturale che si proponeva un ruolo educativo per tutti e investì anche la politica: i Penguin Specials dibattevano i temi più attuali e scottanti, la guerra civile in Spagna, il riarmo e la persecuzione degli ebrei in Germania, le loro copertine rosse erano un segnale d’allarme contro il nazi-fascismo e contribuirono alla vittoria dei laburisti nel 1945. Osservava Clement Attlee: «Furono Allen Lane e i suoi Penguins ad aiutarci ad andare al governo alla fine della guerra».
Come scrive Jeremy Lewis nella biografia commemorativa fresca di stampa Penguin Special: the Life and Times of Allen Lane (Viking), la guerra trasformò i Penguin in un’istituzione nazionale e Lane divenne uno dei più influenti editori del secolo scorso. Nikolaus Pevsner curava la serie illustrata dei King Penguins, oggi la più ricercata dai collezionisti, mentre John Lehman dirigeva Penguin New Writings, forse la rivisita letteraria più raffinata del tempo per i nuovi scrittori. La collana Penguin Modern Painters curata da Kenneth Clark divulgava ad altissimo livello la pittura contemporanea britannica, l’Odissea nella traduzione bestseller di EV Rieu inaugurò la serie dei Penguin Classics nella quale spiccarono Virgilio e Svetonio.
Sfuggente e riservato, segretamente generoso e donchisciottesco nel carattere, Lane guidò la Penguin verso l’espansione che toccò l’apice negli anni Cinquanta e Sessanta, ma si trovò sempre più distante dai cambiamenti in atto nel mondo dell’editoria. Una delle sue ultime scintille fu la decisione di pubblicare l’edizione integrale de L’amante di Lady Chatterly di D.H. Lawrence contro la censura corrente che gli valse un clamoroso processo per pubblica oscenità. Lo vinse e il romanzo vendette tre milioni di copie. La Penguin diventò ricca, ma alla morte di Lane, nel 1970, perse il monopolio e divenne una delle tante multinazionali editoriali.
Più degli aneddoti sono le copertine a raccontare la brillante storia dei Penguin: 500 sono state scelte dagli archivi della casa editrice ed esposte con il loro nitido messaggio culturale nella mostra al Victoria and Albert Museum «Penguin by Design» (fino al 13 novembre). I primi Penguin pubblicati nel 1935 incarnavano un’estetica purista, il titolo a caratteri semplici e chiari, funzionali, nessuna grafica elaborata, solo strisce orizzontali di colore in alto e in basso (azzurro per le biografie, verde per i thriller, arancione per la narrativa, rosa per i viaggi). Le illustrazioni erano rare, solo sulle copertine dei Penguin Specials e Penguin Classics, nel tondo in basso. Ma negli anni Sessanta, le illustrazioni si affermarono, ma raramente a colori, e anche allora, tranne qualche cenno psichedelico, la tradizione austera fu mantenuta nello stile tipografico netto del designer Romek Marber - titolo e autore in righe nette in alto, l’illustrazione sotto - che consentiva una certa flessibilità e segnò l’apice del design per i Penguin. Con l’incalzare delle pressioni commerciali alla fine degli anni Settanta la diga si rompe, il pinguino si rimpicciolisce e finisce in un angolo. Durante gli anni di Margaret Thatcher le copertine sono confuse, riflesso della mancanza di chiarezza negli obiettivi del nuovo gigante editoriale. Il pinguino stesso, che aveva vissuto molti cambiamenti, magro o grassoccio, frontale o di profilo, chiuso in un ovale o in libertà, negli ultimi anni è stato abbandonato del tutto.
Ma è brillantemente risorto nel 2000 con il rilancio della collana dei Modern Classics, dorso grigio argento, una striscia orizzontale di colore in alto o in basso, illustrazioni solo fotografiche.

E per questo anniversario è in uscita una raccolta di 70 Pocket Penguin di 50 pagine ciascuno con gli ultimi scritti degli autori di punta, da Zadie Smith a Nick Hornby e stralci dai grandi autori d’archivio: Flaubert, Borges, Omero, Freud e Chomsky.

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