Chi sarà quel «Vasco» citato in continuazione nelle cinque agende sequestrate dai carabinieri di Comacchio a un imputato dell’inchiesta Laguna pulita, variante in chiave adriatica di Mani pulite? E perché «Vasco» è spesso associato ai soldi, ai lavori pubblici, alle riunioni di partito e a un sostantivo molto equivoco - «il 17 roba a Vasco», «roba piscina Vasco» - che richiama alla mente traffici illeciti? Siamo in Emilia Romagna, e dovendo escludere per deduzione logica che il riferimento sia al cantautore Vasco Rossi, l’ipotesi che suggerisce Giovanni Donigaglia, ex padre padrone della fallita Coopcostruttori di Argenta, il più grande elemosiniere nella storia del Pci-Pds-Ds, è che possa trattarsi di Vasco Errani, all’epoca dei fatti segretario del Pci di Ravenna, attualmente governatore (da 11 anni) dell’Emilia Romagna, candidato alla successione di se stesso nelle elezioni regionali del 28 e 29 marzo, unico esponente del Partito democratico legato al segretario Pier Luigi Bersani anche da una solida amicizia personale.
«Siccome in una delle ultime puntate di Annozero il senatore Maurizio Gasparri del Pdl ha invitato Michele Santoro a chiedere a Bersani per quale motivo non va a informarsi da Donigaglia su come le coop rosse finanziavano il Pci, ho deciso che non fosse più il caso di tenere questo segreto solo per me», si fa vivo l’ex amministratore della Coopcostruttori, «1.500 euro al mese l’ultimo stipendio da presidente, quanto un capomastro», nel curriculum cinque ordini di cattura, 37 processi e mai una condanna. Un duro che nei quasi 365 giorni di detenzione accumulati fra custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari è rimasto più chiuso delle vongole e più sfuggente delle anguille che si pescano nel delta del Po.
Sono cinque agende compilate negli anni 1985, 1989, 1991, 1994 e 1995 dall’ingegner Vittorio Savini, ravennate, arrestato nel luglio 1995 con Donigaglia e altre tre persone per corruzione e turbativa d’asta. Savini era il direttore dei lavori di un gigantesco appalto vinto dalla Coopcostruttori di Argenta, sponsor storica di Botteghe Oscure e quarta impresa italiana di costruzioni dopo Impregilo, Astaldi e Condotte, che per 40 anni ha avuto in Donigaglia il suo deus ex machina e che nel 2003 è fallita nonostante le solenni promesse di salvataggio pronunciate da Massimo D’Alema, da Piero Fassino, dalla Lega delle cooperative e dall’Unipol.
Le opere pubbliche, commissionate dall’amministrazione comunale socialcomunista di Comacchio, cominciarono a metà degli anni Ottanta e furono ultimate nel 1995. Riguardavano fognature, acquedotto, risanamento ambientale, canali e lavori a mare in quella che viene definita la «piccola Venezia», per un importo di 20 miliardi di lire, in parte finanziato con fondi statali Fio (Fondo impresa occupazione). Secondo l’accusa, l’ingegner Savini, un libero professionista che è stato anche assessore del Pci in Provincia a Ravenna e al Comune di Russi, gestiva le tangenti («nell’ordine del 3 per cento», specifica Donigaglia) d’intesa con Massimo Pivanti, ingegnere capo del Comune di Comacchio. Al processo i due patteggiarono. Donigaglia e gli altri imputati, dopo aver affrontato tutti i gradi di giudizio fino alla Cassazione, se la sono invece cavata «per intervenuta prescrizione» davanti alla Corte d’appello di Bologna.
Il patteggiamento avrebbe steso per sempre una patina d’oblio sulla scottante vicenda se Donigaglia, attraverso i suoi avvocati, non avesse acquisito l’intero fascicolo processuale per potersi meglio difendere. E lì dentro, con sua grande sorpresa, ha trovato le fotocopie delle cinque agende di Savini. «Ho cominciato a esaminarle con attenzione e mi sono subito imbattuto in una serie di elementi che non possono essere sfuggiti ai magistrati e che avrebbero meritato un accurato approfondimento», spiega l’ex boss della Coopcostruttori di Argenta. «Anche perché l’ingegner Savini era uno di quelli che noi, nel gergo della prima Repubblica, chiamavamo “politecnici”, cioè tecnici al servizio della politica. Lo sapevano anche i lampioni che lui era il collettore delle tangenti per la federazione comunista di Ravenna presieduta da Errani».
Ora, si chiede Donigaglia, la Procura di Ferrara ha eseguito quell’accurato approfondimento? E la Procura di Ravenna avrà potuto prendere visione delle agende? Avviando quali indagini? Giungendo a quali conclusioni? Domande senza risposta. Eppure la natura delle annotazioni quotidiane, il più delle volte allusive ma a tratti molto esplicite, non sembra lasciare spazio a dubbi. Le agende dimostrano che l’ingegner Savini aveva contatti non occasionali con l’intero Gotha del Pci-Pds-Ds. Li aveva col deputato Davide Visani, oggi defunto, originario come Errani di Massa Lombarda, capo del partito a Ravenna e poi segretario regionale dell’Emilia Romagna, nonché componente della direzione nazionale del Pci, nominato coordinatore della segreteria nazionale del Pds da Achille Occhetto e confermato nell’incarico da Massimo D’Alema. Li aveva col senatore Vidmer Mercatali, in passato assessore provinciale e sindaco di Ravenna. Li aveva con l’attuale sindaco, Fabrizio Matteucci, già segretario provinciale e regionale dei Ds. Li aveva col suo predecessore Mauro Dragoni, che governò la città dal 1987 al 1992.
Ma l’unico che viene sempre citato da Savini col solo nome di battesimo è Vasco, «sicuro indizio di un rapporto molto confidenziale, più che di astuta riservatezza», chiosa Donigaglia. Con rimandi - «cena con Vasco», «cercare Vasco», «tel. Vasco», «da Vasco» - spesso ripetuti nello stesso giorno. Ogni tanto le citazioni diventano meno generiche e assai interessanti. 12 maggio 1989: «Il 17 roba a Vasco», con freccetta, sottolineatura e cancellature intorno. 19 ottobre 1989: «Roba piscina Vasco», con sottolineatura e cerchietto attorno al nome. La faccenda balneare si trascina dall’estate all’autunno inoltrato del 1989. 1 giugno: «Rob. (parole illeggibili) x piscina». 26 ottobre: «Roba piscina». Commenta Donigaglia: «Si parla di roba quando si vuole nascondere qualcosa. Durante Tangentopoli la roba aveva il significato rintracciabile nelle novelle siciliane di Giovanni Verga, lo lasci ben dire a me che oggi sono costretto, da pensionato, a lavorare a Ragusa per tirare avanti. Insomma, era un sinonimo di soldi. Io non avevo bisogno di usare questa perifrasi perché non ho mai tenuto un diario».
Le agende abbandonano il linguaggio iniziatico soltanto quando c’è di mezzo il Pci, forse perché in Emilia Romagna il partito era percepito come un’entità sovrana e impunibile. 29 maggio 1989: «Direz. prov.le Pci (illeggibile) £ 6.396.000». 30 maggio 1989: «Roba x Dir. 6 a (illeggibile)». Ma poi tornano cognomi e pseudonimi. 10 ottobre 1991: «Cena con Moretti 6 dati per G Co». 15 ottobre 1994: «Banca x Pci + Drago 11,9 m.». Decritta Donigaglia: «Drago era l’abbreviazione che Savini usava abitualmente parlando di Dragoni, sindaco di Ravenna. Un sussulto di prudenza. O si sarà vergognato a scrivere il cognome per esteso».
Nelle cinque agende compaiono sovente le sigle della galassia finanziaria rossa, soprattutto Lega Coop, Unipol e Conad, il che appare strano per un professionista incaricato solo di dirigere cantieri edili. Che politica e affari avessero finito per coincidere è ben testimoniato dal promemoria «Il Pci vende (illeggibile) area» (31 maggio 1989) e dalla «cena di lavoro Pci con Mercatali» (20 luglio 1989), un complemento di specificazione che, anche volendo tener conto dell’antica vocazione di partito dei lavoratori, risulta piuttosto incomprensibile: di quali problemi produttivi comunisti si sarà mai discusso a tavola?
«Io non so chi sia questo Vasco e che genere di roba ricevesse dall’ingegner Savini», tira le somme Donigaglia. «Però mi chiedo come sia possibile che ancor oggi, trascorsi 15 anni, nessuno abbia non dico indagato ma almeno portato all’attenzione dell’opinione pubblica le singolari coincidenze contenute in questi documenti. Adesso Errani ha una sola strada davanti a sé: dire se è o non è il Vasco citato nelle agende, spiegare se ebbe o non ebbe rapporti col direttore dei lavori che sovrintendeva alle opere pubbliche a Comacchio, confermare o smentire la fitta serie di contatti intercorsi fra i due e, in caso affermativo, precisare che roba voleva consegnargli o gli consegnò Savini. In fin dei conti per molto meno il suo ex vice in Regione, Flavio Delbono, ha dovuto dimettersi da sindaco di Bologna».
Ma l’ex presidente della defunta Coopcostruttori di Argenta va oltre: «Nella puntata di Ballarò dedicata al decennale della morte di Bettino Craxi, ho ascoltato sbalordito Bersani che si chiamava fuori, sostenendo che lui ai tempi di Tangentopoli era alle prime armi in politica. Oh bella, devo aver sognato, perché io invece mi ricordo d’aver pranzato con Bersani nella seconda metà degli anni Ottanta in un ristorante nei pressi della Fiera di Bologna e d’aver ricevuto una pressante richiesta affinché la mia cooperativa finanziasse la Festa nazionale dell’Unità. Cosa che ovviamente feci, visto che era il Pci a garantirmi la vincita degli appalti negli enti amministrati dalla sinistra. Di certo, se Bersani non m’avesse ingiunto di versare quei soldi, io mi sarei ben guardato dallo sprecare milioni di lire della Coopcostruttori per un’iniziativa che non aveva nulla a che vedere con le nostre attività. Se Bersani ha qualche vuoto di memoria in proposito, possiamo chiamare a testimone Roberto Soffritti, all’epoca sindaco di Ferrara, che partecipò al pranzo. Oppure organizzare un confronto in pubblico: gli lascio la scelta di giorno, ora e luogo».
Gira e rigira, è sempre lì che alla fine torna Donigaglia: al denaro che il partito drenò dalle casse della Coopcostruttori. «Il Pci era il nostro socio occulto e tramite la Legacoop interveniva direttamente nella gestione. Mi ordinò di salvare aziende decotte e persino di rilevare la squadra di calcio di Ferrara, la Spal. Quando fui arrestato, la senatrice Silvia Barbieri, poi cooptata nello staff del segretario Fassino, veniva a trovarmi in carcere a Verona dicendomi di resistere, ché il partito m’avrebbe aiutato. La terza domenica di maggio del 1993 - ero appena uscito di prigione - lo stesso Fassino mi aspettava al casello autostradale di Ferrara sud per informarsi su che cosa avessi rivelato durante gli interrogatori: “Mi raccomando, tieni duro”.
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it
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