Robbie Williams: «Mi sento come Mick Jagger»

Stasera la popstar presenta con uno show a Berlino il suo nuovo cd «Intensive care»

Paolo Giordano

da Berlino

Avreste dovuto vederlo, l’altra sera mentre arringava in un hangar dell’aeroporto Templehof di Berlino, e anche chi non c’era se lo può immaginare subito: era felice come una Pasqua, Robbie Williams, difatti ne ha dette di tutti i colori. E Kate Moss. E Freddie Mercury. E gli Usa. E Beckham, persino.
Insomma, Robbie Williams è tornato dopo un po’ di vacanza dai riflettori, ha un ciddì nuovo, Intensive care che è ridanciano e sofferto, e un bel po’ di psicoterapia da fare a porte aperte, in mezzo alla gente, un po’ qui e un po’ là in giro per il mondo perché tra poco parte il suo solito tour planetario. Insomma si è ripresentato identico a com’era l’anno scorso, quando a Knebworth riunì quasi trecentomila persone per chiedere «Let me entertain you», lasciate che io vi diverta, e poi la gente non voleva più andarsene a casa.
Stavolta ha raccolto un po’ di giornalisti (tanti) in un capannone per spiegare che la sua carriera, iniziata coi Take That e per fortuna proseguita senza di loro, «si è basata su tre movimenti, ho imitato Freddie Mercury, poi Tina Turner e Mick Jagger». E ora che si sente come un nonnetto del rock ha inciso, lui che è un bastian contrario, «un disco che evoca la nostalgia degli anni Ottanta e Novanta», quando cioè il rock era in vacanza premio e a timbrare il cartellino erano i rapper o le baiadere dell’r&b. Però stasera, nell’alternativo Velodrom a Berlino Est, il suo show sarà a ruota libera, un po’ da folie bergère del pop e un po’ da circo rock, perché lui su di un binario solo proprio non ci sa stare (e il concerto sarà trasmesso in diretta al Limelight di Milano).
Salirà sul palco con una mano fasciata visto che venerdì sera, giocando a pallone con i calciatori della Bfc Preusen, è ruzzolato per terra e si è rialzato solo al pronto soccorso. Tre ore dopo, però, era già all’undicesimo piano del Ritz Carlton di Potsdamer Platz, 43 stanze tutte a suo nome, perché lui vive a Los Angeles anche se, dice, «non ho ancora provato a conquistare il mercato americano» e quando torna in Europa c’è da incontrare tutti i paisà. Nell’euforia, l’altra sera nell’hangar del Templehof, non ha usato mezzi termini per difendere Kate Moss perché «a scrivere oggi che non dovrebbe prendere cocaina sono le stesse persone con le quali io ho sniffato» e a questi giornalisti si può ripetere anche che «Intensive care è il mio migliore album» perché poi non si accorgono che «lo dico ogni volta che pubblico un disco».


In fondo il bello di essere Robbie Williams è di poter dire tutto senza curarsi del suo contrario, zigzagare nella logica o talvolta fuori, vestire tutti i colori senza sceglierne gli accostamenti così poi la gente fa la fila e stasera tra i settemila del Velodrom non ce n’è neppure uno che sappia cosa aspettarsi.

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