nostro inviato ad Åre
«Tranquilli, ai Mondiali sono sempre arrivato al traguardo», ricorda Giorgio Rocca, un modo per esorcizzare lincredibile caduta nello slalom olimpico di un anno fa al Sestriere e tenere vivi ricordi più felici, anche se questo valtellinese, che ad agosto compirà 32 anni, ha vinto solo in coppa del mondo, undici volte e tutte e undici in slalom, lultima ormai oltre un anno fa, a Wengen il 15 gennaio 2006, trovando nei Mondiali - e ancora di più nei Giochi - gradini molto alti, forse troppo. Alla desolazione a cinque cerchi, corrisponde una lenta crescita iridata. Quarto nel 1999; 15° nel 2001; terzo nel 2003 e di nuovo terzo nel 2005 quando a Bormio fu bronzo anche in combinata. Questanno sognava una stagione da polivalente, salvo incappare in un infortunio subito dopo il terzo posto a metà novembre a Levi e firmare un inverno a intermittenza: una gara sì, quarto ad esempio il 18 dicembre in Alta Badia, e diverse no.
In teoria non è il cammino ideale: «È una vigilia diversa da quella olimpica al Sestriere, tante le difficoltà anche se qui mi sento molto tranquillo e sereno, preparato al meglio e pronto a dare il massimo. Però resto un outsider. I favoriti sono quelli che hanno vinto, a iniziare da Byggmark, lunico a essersi imposto due volte. Si è affacciata una nuova generazione, che ha iniziato a sciare direttamente con gli sci corti, senza il passaggio da quelli lunghi. Quelli come me si sono dovuti adattare, passando da sci di 203-205 cm a quelli di 165».
Questi ventenni sanno fare velocità con i loro scietti. E pesa anche la facilità della pista, ricavata nel tratto conclusivo della discesa. Succede spesso a Mondiali e Olimpiadi. Non si può pensare che i liberisti abbiano il traguardo ai piedi di un muro e anche se la pista in centro al paese di Åre sarebbe da brividi per lo speciale, non regge economicamente una seconda arena per una gara sola. Bisogna giocare dastuzia e allora ecco entrare in scena Claudio Ravetto, tecnico azzurro, tracciatore della seconda manche «dove metterò più porte possibile e certe figure in diagonale, cercherò di accorciare le porte perché questi bombardieri non possano sviluppare tutta la loro potenza».
La parola potenza si porta dietro i sospetti di doping, esternati giovedì dal presidente della Fis Gianfranco Kasper, minimizzati da Rocca: «So che si può barare, mi auguro solo che nello sci, dove il fattore tecnico è ancora preponderante, si gareggi sempre tra persone oneste». Ravetto ha storto la bocca: «Io sono meno ottimista di lui. Tutti parlano di ormone della crescita e pensano a masse muscolari sorprendenti. Io invece non sono di questo avviso. È una visione parziale. Queste cure servono anche a livello di doping mentale, ti infondono una sicurezza e una capacità di affrontare determinati rischi sconosciute. Parliamoci chiaro: non avere paura in discesa è fondamentale, se ce lhai da certi passaggi non ti cali. E vale anche per lo slalom. Sulle vertigini listinto ti porta ad arretrare sulle code, a guardare indietro e a metter le punte a monte. Invece certi sono capaci di fare lesatto contrario: non è naturale. Quando Deville, uno dei quattro italiani in gara, dice che sono decisivi gli ultimi 10 secondi è perché quel dente ti può disarcionare, devi andarci dentro senza chiederti nulla, se pensi anche solo per un istante ai problemi che ti pone sei fottuto. E allora ecco che chi ha lavorato sul doping è avvantaggiato. Faccio un esempio lampante: Max Blardone ha perso la gara per via della testa: uno così di sicuro non ha chiesto aiuti esterni.
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