Rock (tedesco) e ambiguità Torna il fenomeno under 18

La band rivelazione (età media sotto i vent’anni) stasera suona a Roma e venerdì a Modena

da Milano

Occhio, il rischio c’è: a limitarsi solo all’apparenza i Tokio Hotel sembrano un gruppo di polistirolo programmato per il successo con la precisione di un software. E d’accordo: musicalmente non sono certo pionieri, visto che suonicchiano un emorock con innocue venature talvolta punk e talvolta pop, insomma niente di che. E i testi, poi, sono ben lontani da svolazzi cantautorali o da impegnativi manifesti sociologici: a parte Don’t jump, forte ed efficace richiamo anti suicidio, camminano piuttosto sul solco adolescenziale dei conflitti famigliari, della paura del futuro, di quelle insostenibili leggerezze dell’essere giovani. Però i Tokio Hotel sono un fenomeno. E i fenomeni, specialmente quelli per giovanissimi, non sono mai casuali. Tanto per intenderci, stasera il gruppo tedesco, che ha un’età media inferiore ai vent’anni, suona all’Ippodromo delle Capannelle di Roma, venerdì sarà al parco Novi Sad di Modena e complessivamente ha venduto quasi quarantamila biglietti, roba di gran lusso visti i tempi. E, senza contare le aste di eBay per i tagliandi, su migliaia di blog che ricamano il web da mesi c’è un’attesa, un brulicare di commenti, speranze e preghierine come online non si era mai visto. Certo, i Tokio Hotel hanno aiutato la loro casa discografica Universal vendendo in tre anni cinque milioni di cd e dvd (Ben due solo dell’ultimo Scream). Ma se sono la rivelazione della stagione c’è un motivo ben più complesso della bacchetta magica del marketing. Questi quattro ragazzi di Lipsia e Magdeburgo raccolgono un pubblico under 18 e addirittura under 14, fortemente fideistico e quindi bisognoso di un punto di riferimento non solo musicale. Nel generale innalzamento dell’età dell’ascoltatore pop (persino il pubblico medio di Madonna o di Robbie Williams è quasi trentenne), i Tokio Hotel sono arrivati al momento giusto per coprire un bisogno di mercato altrimenti insoddisfatto o tradito. E poi c’è l’indubbia ambiguità del cantante Bill Kaulitz, fratello gemello del chitarrista Tom, che il primo settembre compirà 19 anni ed è reduce dall’intervento chirurgico - seguito dalle fans sulla rete con un attaccamento senza precedenti - per l’asportazione di una cisti alle corde vocali provocata dallo stress di 43 concerti consecutivi (e certo il management ha qualche responsabilità). Pettinato come il personaggio di un cartoon manga, coperto di piercing, assai effeminato nei lineamenti e reso per noi italiani ancor più astrale perché non sa una parola di inglese e parla solo il tedesco, Bill Kaulitz è il simbolo di un tempo sessualmente confuso che, dagli spot in tv (Dolce & Gabbana o Campari, per esempio) fino alla moda, trasmette messaggi ambigui e contraddittori e, soprattutto, annulla le differenze sessuali. Però, a differenza del David Bowie di Spiders from Mars o di Alice Cooper negli anni Settanta, i Tokio Hotel non hanno quella portata dirompente, quella vampa sadica o voyeuristica che negli anni Settanta ha cambiato i costumi. I Tokio Hotel li registrano semplicemente, questi cambiamenti, e dunque perdono la loro carica pericolosa.

Perciò ai loro concerti arrivano in massa i genitori, dapprima obbligati ad accompagnare i figli e magari preoccupati, ma poi rilassati nel ritrovarsi davanti una innocua band che non benedice l’uso di droga, non aizza le folle ma tutt’al più le blandisce, le porta con sé nel rituale gioioso di un concerto rock per adolescenti. I pericoli per i ragazzini, se proprio bisogna dirlo, sono lontani dal loro palco e c’entrano poco con la musica, ormai.

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