Il rocker Bryan Adams: "Sono un fotografo che ama il silenzio"

Ieri l’artista ha suonato un breve concerto a Milano per annunciare il cd 11. "Non sono cambiato perché non ho mai seguito le mode"

Il rocker Bryan Adams: "Sono un fotografo che ama il silenzio"

Milano - Allora Bryan Adams, per annunciare il suo nuovo cd 11 lei ha deciso di suonare 11 concerti in 11 giorni in tutta Europa. Quasi maniacale.
«In realtà da sempre tengo dieci concerti al mese per tutto l’anno. In ogni parte del mondo».

Anche a Milano, dove ieri sera ha suonato per un’oretta al Metropol. Lei e la sua chitarra.
«Dovevo festeggiare in qualche modo l’uscita del mio undicesimo album».

Che è riconoscibile fin dalla prima nota. Questo è ormai il suo suono.
«Ma tutto dipende dalla mia voce roca, che è un marchio di fabbrica e dalla quale non mi posso separare. E poi io non ho mai seguito le mode, sono rimasto coerente con me stesso».

Di sicuro, rughe a parte, il Bryan Adams di oggi è identico a quello che nel 1984 duettava con Tina Turner in It’s only love o che all’inizio dei Novanta ci ha sfinito con la ballatona diabetica (Everything I do) I do it for you che è stata la colonna sonora del film Robin Hood con Kevin Costner e di qualche miliardo di flirt in giro per il mondo. D’altronde, signori, squadra che vince non si cambia e Bryan Adams, nato a Kingston in Canada quarantanove anni fa, è una macchina da soldi, oltre che da rock: più di cinquanta milioni di dischi venduti in quasi trent’anni, nominations a pioggia sia ai Grammy che agli Oscar, fiducia illimitata dei discografici che infatti puntano ancora su di lui a occhi chiusi. E se proprio c’è una novità nella sua vita (e non parlate sempre di quella presunta liaison con Lady Diana) è racchiusa in un clic. Per avere il fotografo Bryan Adams c’è la fila e, qui Italia, una che la sa lunga come Franca Sozzani gli chiede spesso scatti per Uomo Vogue. «Anche quelli che sono sul libretto del mio cd li avevo fatti per lei, e si è sentita onorata quando le ho detto che le avrei usate anche per il disco» sorride Bryan Adams, che ha un volto asciutto dominato da un ciuffo impertinente. È così plasmabile, questo rockettaro fotografo, così adattabile che se lo guardate nell’autoscatto con quel chitarrone anni Cinquanta sulla copertina di 11 sembra quasi Ricky Nelson oppure Elvis oppure uno che sogna il rock ed è finalmente capace di dargli un’immagine capace di vivere di vita propria.

Bryan Adams, lei ieri sera ha suonato in versione acustica. Ma nell’album ci sono brani come Oxygene che pestano duro.
«In realtà, questo avrebbe dovuto essere un album acustico. Ma a metà della registrazione ho deciso di cambiare, non mi andava più. Io sono quello che si ascolta lì, con una band alle spalle e una Fender Stratocaster al massimo del volume».

Insomma, lo utilizzerebbe come colonna sonora di una sua mostra fotografica.
«Per carità, no. Per le mie foto scelgo il silenzio. Anche quando scatto non voglio rumore intorno a me.

Lei ha fotografato Hillary Clinton, la regina Elisabetta, Annie Lennox ed Amy Winehouse. E in Italia ha scelto Laura Pausini ed Elisabetta Canalis. Chi le manca?
«Sophia Loren di sicuro. Su di lei farei un reportage intero».

O magari si improvviserebbe regista?
«No, già è difficile dirigere me stesso, figurarsi se avessi degli attori da comandare».

Adesso ha le idee chiare.

Ma nel ’78 uscì un suo brano quasi dance intitolato Let me take you dancing. Altro che rock.
«Mamma mia, hanno persino accelerato il ritmo della mia voce così sembravo Michael Jackson. Ma se lo rallentate, ecco quello sono io. Più calmo e più rock».

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