La Roma del medioevo? Altro che Papa e baroni era un comune modello

La Roma del medioevo? Altro che Papa e baroni era un comune modello

Quando si parla di Roma nel Medioevo, di dominio temporale dei papi, le immagini che vengono alla mente, in maniera praticamente automatica, sono sempre le stesse. Il ricordo di qualche dipinto, spesso molto tardo, che illustra le rovine maestose dei fori e del Colosseo invase dalle piante e circondate dalle greggi che pascolano sorvegliate da un ragazzino cencioso. Oppure lo scontro tra le potenti famiglie dei baroni, le lotte intestine che portano Giacomo Colonna (detto Sciarra) a prendere a schiaffoni Bonifacio Ottavo il 7 settembre del 1303.
Insomma il quadro di una città che vive di pellegrinaggi, congiure, e scontri tra famiglie. All’Urbe intesa come comune, con istituzioni simili a quelle delle altre grandi realtà cittadine italiane non si pensa mai, e se lo si fa ci si ferma alla figura di Cola di Rienzo (1313-1354) e al suo sfortunato tentativo di riportare in auge la Repubblica (una retorica un po’ patriottarda ne ha fatto l’ultimo dei tribuni del popolo). E nella sconfitta di Cola si vede semmai proprio la conferma della debolezza di quello che uno storico marxista definirebbe il «tessuto borghese». Beh, Jean-Claude Maire Vigueur, che sul tema dei comuni è un vero esperto (molto noti i suoi Cavalieri e cittadini e Il sistema politico dei comuni italiani), la pensa diversamente. Per rendersene conto basta leggere il suo nuovo lavoro L’altra Roma. Una storia dei romani all’epoca dei comuni (Einaudi, pagg. 488, euro 38). L’idea guida è che la vitalità commerciale e politica di Roma, tra XII e XIV, secolo sia assolutamente paragonabile a quella dei più importanti centri dell’Italia del centro nord. E soprattutto Roma è stata un vero e proprio comune con tutti i suoi organi decisionali, con istituzioni capaci di dialogare con il potere papale e con una nobiltà «larga», non riducibile solo a poche famiglie baronali. Ecco allora Vigueur, nonostante la difficoltà di ricostruire un epoca senza l’ausilio degli archivi ufficiali distrutti dai lanzichenecchi nel 1527, fare un ritratto a tutto tondo di quei romani che, parole sue, sono stati trattati troppo spesso come «le comparse, vagamente ridicole, di un dramma i cui veri protagonisti erano il papa e l’imperatore».
Un’analisi attentissima che spazia dalla campagna romana, caratterizzata dai casali con la loro «moderna» capacità di produzione agricola, ai palii di quartiere, come l’Agone di Testaccio dove i romani si davano alla caccia al toro con un rito cruento a metà tra la corrida e l’Encierro di Pamplona. Poi si passa alla politica con un attento studio della dura lotta che ha portato alla formazione del baronaggio, a partire dallo scontro tra Caetani e Colonna, culminato nel «colpo del secolo» (il furto di 200mila fiorini, nel 1297, ai danni dei parenti di Bonifacio Ottavo).
E poi spuntano corporazioni, famiglie di macellai che diventano potentissime, scontri tra fazioni, torri che crescono come funghi, lotte e alleanze tra quartieri.

Insomma la conclusione che farà discutere gli storici è questa: «Con la fondazione del comune nel 1143, la città vira di 180 gradi e si porta nell’area dell’Italia settentrionale». L’urbe in effetti fu anti imperiale, alleata dei comuni della Lega lombarda...

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