Roma - Donato Antonellis non opera più. Il primario del reparto di chirurgia generale e d’urgenza dell’ospedale San Camillo, uno dei più grandi di Roma, non è stato però sospeso. Semplicemente è in congedo sindacale, in quanto segretario regionale dell’Anaao, uno delle maggiori sigle ospedaliere d’Italia. In realtà Aldo Morrone, direttore generale azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini, fa capire che si tratta di una exit strategy per estromettere diplomaticamente Antonellis dall’ospedale. O quanto meno di una provvidenziale coincidenza. La cronaca racconta infatti che i problemi nel pronto soccorso del San Camillo sono iniziati con il suo arrivo, nel 2006, in seguito a un concorso peraltro non del tutto limpido. Non solo gli interventi in condizioni precarie documentate da foto e video nei giorni scorsi; non solo uno stato di perenne emergenza, con poco personale e ancora meno letti; non solo attese bibliche da parte dei pazienti; ma anche numerose denunce da parte di malati operati dallo stesso primario e vittime di complicanze post-operatorie banali ma pericolose: punti saltati, emorragie, infezioni. Episodi verificatisi con frequenza allarmante, anche se un audit esterno richiesto tempo fa dall’azienda ospedaliera aveva evidenziato che tutto era regolare. Ciò che aveva consentito ad Antonellis di andare avanti nel suo lavoro come se nulla fosse. Prima che lo scandalo esplodesse di nuovo, con il sequestro da parte dei carabinieri del Nas di una ventina di cartelle cliniche relative a pazienti del reparto e con le immagini che descrivono un pronto soccorso allo sbando. E prima che Antonellis decidesse di farsi da parte.
Ma se nel caso del San Camillo i problemi potrebbero avere un nome e un cognome, la sanità della capitale d’Italia sembra non riuscire a uscire dalla palude dell’emergenza perenne. Dopo l’avvio dell’indagine da parte della procura sui pronto soccorso della capitale, i medici dell’emergenza-urgenza hanno scritto una lettera aperta al ministro della Salute Renato Balduzzi in cui denunciano che le strutture sono al collasso e non solo a Roma. Ma certo la situazione capitolina è particolarmente grave. Un disastro che, si badi bene, coabita con strutture di eccellenza e professionalità di assoluto livello, come se il paziente fosse costretto a giocare ogni volta un sette e mezzo disperato, nel quale tra vincere e sballare passa un niente.
Negli ultimi anni il luogo simbolo di questo inferno sono stati i sotterranei dell’Umberto I, il policlinico universitario vero cuore della sanità pubblica nazionale. Luoghi di terrificante degrado, oggetto di sporadiche inchieste giornalistiche da decenni. Poi nel 2007 Fabrizio Gatti sull’Espresso intraprende un viaggio della vergogna nell’Umberto I: pazienti che fanno lo stesso percorso della spazzatura, laboratori incustoditi, fumo di sigaretta ovunque. Il reportage crea scalpore e costringe l’amministrazione e la Regione Lazio a correre ai ripari. Con una ristrutturazione monstre costata 18 milioni. Soldi buttati, a giudicare che oggi, a distanza di pochi anni, le gallerie sono già pesantemente infiltrate, regno di muffe e addirittura a rischio di esplosione secondo esposti a Procura e Corte dei Conti. Un caso simile è stato denunciato qualche giorno fa dal Corriere della Sera al Forlanini, ospedale fratello del San Camillo che da anni dovrebbe essere dismesso nell’ambito del piano di risanamento economico della sanità laziale: anche qui tunnel ridotti a set di un film dell’orrore, tra sporcizia, masserizie abbandonate, tossici e prostitute in azione. Risale invece al 1993 l’inchiesta su un presunto traffico di cornee sottratti a pazienti morti o moribondi nello stesso San Camillo. Pochi mesi dopo un caso simile viene denunciato al Sandro Pertini, altro grande nosocomio pubblico. Tanti avvisi di garanzie ma nessuna condanna.
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