Coronavirus

Ambulanze nel caos, tra blocco barelle e coronavirus si allungano i tempi di soccorso

Tra il fenomeno del blocco barelle e la psicosi coronavirus decine di ambulanze restano bloccate per ore all'esterno dei nosocomi romani

Ambulanze nel caos, tra blocco barelle e coronavirus si allungano i tempi di soccorso

La psicosi coronavirus rischia di rallentare ancora di più la macchina dei soccorsi capitolina, già messa a dura prova dai tagli ai posti letto e al personale dei nosocomi. Anche oggi è una giornata di blocchi per i mezzi di soccorso. Sono almeno 31 le ambulanze ferme all'esterno dei principali ospedali romani perché le barelle vengono trasformate in letti su cui sistemare i pazienti in attesa.

La situazione in queste ore, fanno sapere al Giornale.it alcuni operatori di Ares 118, è critica soprattutto al policlinico universitario di Tor Vergata e all’ospedale Sandro Pertini, dove attorno all’una i mezzi bloccati erano già sei. "La scorsa settimana l'attesa per un intervento su un codice verde è stata di quasi due ore", denuncia uno di loro.

E la procedura prevista nei casi di pazienti che presentano i sintomi della superpolmonite venuta dalla Cina allunga ulteriormente i tempi di reazione delle ambulanze. Fin dall’arrivo della chiamata, infatti, spiegano al quotidiano Il Tempo alcuni medici dell’Ares, scattano le procedure specifiche. Il personale deve indossare camice, cuffie, mascherine e solo una volta completata la vestizione si può partire. Per ogni caso sospetto va allertato l’istituto nazionale per le malattie infettive, che però non ha il pronto soccorso.

Quindi, una volta presi in carico i pazienti che presentano i sintomi compatibili con quelli provocati dal virus cinese, vengono ricoverati allo Spallanzani soltanto quelli che hanno fatto viaggi in Cina nell’ultimo periodo o che sono stati in contatto con persone provenienti dalle città focolaio dell’epidemia. Una volta tornati dal centro dove sono attualmente ricoverati i due cittadini cinesi di 66 e 67 provenienti dalla provincia in cui si è iniziata a diffondere la malattia, le ambulanze devono essere sanificate.

Un’operazione che richiede almeno un’ora e che viene eseguita con prodotti ad hoc. In tutto l’intervento finisce per durare diverse ore. Un periodo di tempo i cui le vetture devono essere rimpiazzate da mezzi noleggiati da società esterne per garantire il servizio sul territorio. Un costo non indifferente per l’azienda regionale che si occupa dei mezzi di soccorso. Secondo i dati pubblicati dallo stesso quotidiano dal 2013, infatti, l’Ares avrebbe speso per le cosiddette ambulanze a chiamata "spot" più di 43 milioni di euro. Quasi 17 mila euro al giorno in media.

"Sicuramente la paura per il coronavirus, assieme al picco dell’influenza stagionale, ha fatto salire il numero degli accessi al pronto soccorso, ma alla base dei disservizi ci sono problemi strutturali visto che da anni la scure della Regione si abbatte sui nosocomi del Lazio, con i tagli di posti letto e la chiusura degli ospedali", denuncia Stefano Barone, segretario provinciale del Nursind.

"Il punto – sottolinea – è che il paziente dovrebbe restare in pronto soccorso soltanto il tempo necessario ad essere inquadrato clinicamente, per poi essere dimesso o destinato ai reparti". "Invece - prosegue il sindacalista - la carenza cronica di personale e posti letto fa sì che questi presidi siano spesso intasati". Il blocco delle ambulanze è una delle conseguenze evidenti del cortocircuito del sistema.

Un sistema che, avverte Barone, rischierebbe addirittura "di andare in tilt se i casi di casi di contagio da coronavirus aumentassero in maniera esponenziale".

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