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«Ronaldo e Ronaldinho che errori Sarei pronto a ritornare al Milan»

Marina di Massa«Come va il calcio?, mi ha chiesto una signora l’altro giorno. Come l’Italia, le ho risposto. Il nostro sistema è superato, andrebbe cambiato. Ma non ci riusciamo perché viviamo un momento di confusione mentre i competitori crescono e ci superano». È la diagnosi nuda e cruda di Arrigo Sacchi che ieri pomeriggio è intervenuto a Ronchi, frazione nobile di Marina di Massa, per ricordare Giampiero Vitali, l’ex allenatore del Parma scomparso nove anni fa. Eppure il Paese non va così male se ha un tasso di disoccupazione inferiore a quello della Spagna e un comparto bancario più solido di quello americano.
Perché è così pessimista con il suo mondo?
«Io ho avuto la fortuna di lavorare con un grande presidente come Berlusconi che pretendeva un Milan vincente e convincente. Da molte parti non è così per la presenza di dirigenti decisi a piegare il calcio ai loro fini. Senza cultura sportiva, senza autentica passione. Logico poi che gli allenatori, alcuni almeno, si trasformino in tanti don Abbondio».
All’estero parlano male del nostro gioco, un luogo comune?
«Direi di no. In Italia la cultura della vittoria a ogni costo continua a essere un dogma. Ma alla lunga la gente si stanca di assistere a brutte partite. L’estetica non è un optional, se giochi bene, vieni apprezzato. Altrimenti non sarei stato portato in trionfo nelle due stagioni in cui ho perso lo scudetto di misura».
Ma cambierà qualcosa fino a quando le società non romperanno il cordone ombelicale con gli ultrà?
«Il problema della violenza sta diventando un fenomeno tipicamente italiano, legato anche alla vetustà dei nostri stadi che sono delle carceri a cielo aperto. Nel mondo civile non esistono impianti così obsoleti, brutti, inefficienti. Si parla tanto, si fa poco o niente. Solo la Juventus sta lavorando bene in questo senso».
Si parla benissimo della nuova Juve, è diminuito il gap con l’Inter?
«I bianconeri hanno fatto acquisti importanti, Diego e Caceres su tutti. Ma i campioni d’Italia non sono rimasti a guardare con Eto’o, Milito e Lucio. A mio parere la distanza è rimasta immutata. Più forte l’Inter. Bisogna però capire se gli uomini di Mourinho, dopo aver vinto quattro scudetti consecutivamente, avranno le motivazioni per ripetersi. Sarebbe un’impresa storica. Nel calcio gli stimoli sono fondamentali. Se ti mancano, resti al palo. È come avere una Ferrari senza benzina».
Il Milan ha cambiato strategia con la cessione di Kakà, il ridimensionamento degli ingaggi, il braccino corto in fatto di acquisti...
«I tifosi devono capire che la società, su indicazione di Berlusconi, sta aprendo un nuovo ciclo dopo aver conquistato tutti i trofei possibili e immaginabili. A memoria non ricordo una squadra che ha vinto così a lungo. L’ultimo successo in Champions League rappresenta qualcosa di straordinario. Ma non si poteva continuare su quella strada per l’elevata incidenza degli stipendi e l’età media. Ai miei tempi era di 25 anni, l’anno scorso era di oltre 32».
Qual è la ricetta giusta?
«Solo una società sana economicamente, in grado di autofinanziarsi, gestita da gente competente e supportata da migliaia di soci, ha futuro, bisogna farlo capire ai tifosi. È questo il domani del calcio. Di un calcio troppo legato agli stessi dirigenti».
Cosa si sente di rimproverare alla società?
«Un giorno dissi a Galliani che il Milan sbagliava a ritoccare in alto gli ingaggi come è capitato con Kakà. Nell’ultima stagione il brasiliano è venuto a costare più di 22 milioni».
In qualche occasione ha criticato certe scelte tecniche...
«Non avrei preso né Ronaldo, né Ronaldinho. Il primo mi chiese più volte di andare al Milan, ma non lo assecondai mai. Perfino Butragueño, allora vicepresidente del Real, rimase sorpreso».
E se Berlusconi, che per lei ha sempre avuto simpatia e stima, le chiedesse di tornare al Milan?
«Ci penserei, ma sarei ingombrante per l’allenatore.

Sono però disposto a rientrare nel calcio, basta che il progetto sia serio».

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