Marino Smiderle
da Padova
Come in ogni check-point che si rispetti, anche in via Anelli a Padova bisogna superare due posti di blocco. Il primo, ufficiale, è costituito da polizia e/o carabinieri, che controllano il quartiere più a rischio di Padova con lausilio di un muro di lamiera alto tre metri e lungo ottanta e di una decina di telecamere; il secondo, a ridosso del residence Serenissima, è una roba autarchica, artigianale, ideata e realizzata da gruppi di nigeriani e di magrebini decisi a contrastare i connazionali che hanno trasformato via Anelli in una sorta di supermercato della droga e, inevitabile conseguenza, del crimine.
Proprio così, ronde di nigeriani buoni contro nigeriani cattivi. E, per non essere da meno, ronde di magrebini «buoni» contro magrebini «cattivi». Il guaio è che in via Anelli ci vuol poco a mescolare il tutto in un unico calderone di violenze e soprusi, di degrado e di delinquenza. In questo vero e proprio ghetto vivono circa 350 famiglie, sparse in 125 alloggi, unenclave di Africa che si è presto trasformata nel luogo ideale per andare a vendere droga, per regolare i conti con chi sgarra, per sparare. Qui vige la legge della giungla ma molti che dalla giungla originale sono scappati non ci stanno. E alla criminalità hanno dichiarato guerra. «Lo fanno per proteggere le proprie famiglie - ha rivelato al Gazzettino Paolo Manfrin, presidente del comitato Stanga 6 - perché non vogliono vivere in mezzo a una situazione di perenne coprifuoco».
Non è una organizzazione militare, non hanno armi e non vogliono aggiungere violenza a violenza. Piuttosto queste squadre possono essere considerate alla stregua di gruppi di pressione, di vedette che segnalano imminenti situazioni di pericolo. Leffetto positivo è stato quello di coalizzare, o comunque di avvicinare, comunità culturalmente lontane che si guardano in cagnesco da sempre. Perché noi italiani ci mettiamo poco a infilare i diversi immigrati africani in un unico calderone; in realtà tra nigeriani e magrebini cè assai poco in comune e la formazione di questo comune per difendere via Anelli dallinvasione di criminalità favorisce il dialogo.
«Ma questa della polizia privata non è certo la strada da percorrere - osserva il governatore del Veneto, Giancarlo Galan -. Mi pare che il sindaco di Padova, Flavio Zanonato, abbia fatto bene a tirar su quello che ho chiamato il muro di Berlino: a mali estremi, estremi rimedi. Certo, se a prendere questa decisione fosse stato un sindaco di centrodestra, non so proprio cosa sarebbe successo. La vera soluzione, però, è unaltra, e mi pare che la Regione, con Comune di Padova e Ater, avessero messo sul piatto circa 25 milioni di euro per eliminare il ghetto di via Anelli, favorendo nuove soluzioni abitative. Non ho visto risultati apprezzabili. Se lasciamo proliferare questa forma di ronde, rischiamo di trasformare Padova e via Anelli in una nuova Palestina».
«Non li chiamerei vigilantes - dice Marco Carrai, assessore ds alla sicurezza di Padova - e nemmeno polizia privata. Non hanno manganello e nemmeno pettorine fluorescenti. Li chiamerei cittadini di prossimità e limportante è che collaborino con la polizia, attraverso segnalazioni e indicazioni preziose. Se portano avanti questo tipo di attività in maniera pacifica, senza luso della forza, non vedo controindicazioni».
La Cgil di Padova si trova più o meno sulla stessa lunghezza donda di Galan, cosa che capita molto di rado. «Tutti, italiani o stranieri, hanno il diritto-dovere di denunciare episodi delittuosi - afferma il segretario provinciale Salvatore Livorno - ma qualsiasi altra attività rischia di avvalorare un modello di eccezionalità, di esclusione e ghettizzazione, attraverso unidea di polizia fai da te che non si concilia con le tradizioni di uno stato di diritto».
La cosa positiva che viene fuori dal marasma di via Anelli è di tipo artistico: grazie al muro di lamiera stanno proliferando i writers, o graffitari, che hanno saputo trasformare la grigia lamiera del ghetto in una succursale della Biennale.
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