nostro inviato a Parigi
Come Mitterrand nel 1981 ha proposto cento idee per rilanciare la Francia. Come Gingrich e Berlusconi ha siglato un patto con gli elettori. Come tutti i leader della sinistra europea ha cercato idee altrove, in Scandinavia (ovviamente) ma non nella Gran Bretagna liberista di Blair e certo non in quella raccogliticcia di Prodi. Doveva essere il giorno del suo grande rilancio e davanti a diecimila eccitatissimi sostenitori in un palazzetto alle porte di Parigi, Ségolène Royal ce l'ha messa tutta; ha parlato per ben due ore, ma alla fine non ha convinto. Colei che fino a due mesi fa veniva considerata una grande comunicatrice, ieri è apparsa molto controllata, meno sorridente del solito, mai empatica. Troppo forbita nel linguaggio, e borghese nei modi, per sembrare una donna del popolo.
Aveva promesso di rivelare il suo programma, elaborato dopo aver raccolto i suggerimenti formulati dai cittadini in oltre cinquemila incontri organizzati dal Partito socialista in tutto il Paese, ed è stata di parola. Ma la maggior parte delle sue cento riforme è risultata banale oltre che rossa come l'elegante tailleur da lei indossato. «Ségo» ha promesso di alzare a 1500 euro il salario minimo, del 5 per cento le pensioni, di rinegoziare e rafforzare le 35 ore e di revocare i contratti di lavoro a tempo determinato. Per qualunque problema - dalla ricerca alla scuola, dalla sanità all'economia - ha indicato una sola soluzione: sempre, comunque più Stato. Peccato, perché aveva iniziato bene il suo discorso, denunciando l'inaccettabile esplosione del debito pubblico francese, che in sei anni è aumentato del 10 per cento; ma poi Ségolène si è persa. Come rilanciare l'economia? Mistero. Come risolvere le grandi sfide geoeconomiche che il Paese deve affrontare? Zero risposte, a parte tanti luoghi comuni come quello «delle riforme ecologiche che possono generare centomila posti di lavoro».
Le derive populiste non sono mancate, una inquietante: per risolvere il problema dei meno abbienti che non trovano casa, Ségo pensa di requisire gli appartamenti sfitti da oltre due anni. Un bell'esempio di liberalità e di rispetto della proprietà privata. Ha dedicato poco tempo ai grandi temi di politica estera, senza originalità. Naturalmente ha promesso «grande impegno per rilanciare il progetto europeo», e «tanta attenzione all'Africa, porta dell'Europa, perché altrimenti ci penseranno i cinesi», che peraltro sono già molto attivi nel Continente Nero, verosimilmente a sua insaputa. Ségolène si è detta amica degli Stati Uniti, ma in futuro non esclude alleanze con potenze emergenti quali l'India o il Brasile.
Solo su due punti ha saputo distanziarsi dal programma di partito. Il primo: per arginare la delinquenza giovanile ha proposto «il rafforzamento dei centri educativi, se necessario con un inquadramento militare»; abbracciando idee tipiche più della destra che della gauche. Il secondo: le riforme istituzionali. La Royal pensa di concedere al popolo il diritto di iniziativa legislativa con un milione di firme; prevede di eleggere una parte del Parlamento con il sistema proporzionale e di revocare la legge che permette al primo ministro di imporre la fiducia senza dibattito in aula. E in un Paese centralizzato e verticistico ha rivendicato un'Amministrazione più vicina al popolo, lasciando intendere di essere favorevole a vaghe misure di orientamento federalista.
Insomma, Ségolène del tutto allineata non è; ma questi guizzi non bastano a trasformarla in un vero leader. Il suo progetto non ha coerenza, né spessore. E lei ancora non dimostra di avere una visione; non ancora perlomeno.
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