Rugby: donne nella mischia Parte il campionato femminile

Il comunicato che segna l’inizio di una nuova era è partito l’altro ieri dalla sede milanese della Federazione rugby: «Il Comitato Regionale Lombardo è lieto di annunciare l’organizzazione del campionato regionale femminile». Roba impensabile, fino a poco tempo fa. Lo sport più carbonaro che si possa immaginare, le donne che danno l’assalto al gioco maschio per definizione, che misurano fianchi e petti con la dura legge del placcaggio, dei tacchetti, della mischia. E invece, passo dopo passo, è diventata una cosa seria. Che sia destinato a divenire uno sport di massa non si può dire. Ma l’era della clandestinità è ufficialmente finita. E anche la gloriosa Amatori Milano, da sempre covo di rugbisti sciupafemmine, ha recentemente annunciato la costituzione di una sua sezione in rosa.
Cosa spinga una ragazza a mettersi a giocare a rugby continua ad appartenere al regno del mistero. Colpa di un’amica, di un fidanzato, del caso, della voglia di mettersi alla prova. Ma che sia uno sport anche per femmine lo si scopre andando a vedere, qua e là per i campi della Lombardia, uno qualunque dei tanti tornei di minirugby: le bambine giocano insieme ai maschi, e spesso e volentieri sono più toste di loro. Poi, inevitabilmente, l’adolescenza costringe a dividere spogliatoi e carriere. Il risultato era, finora, che le ragazze appendevano quasi tutte le scarpe al chiodo. Ma ora il campionato regionale parte proprio da loro, dalle giovanissime appena uscite dal mondo del minirugby: a scendere in campo potranno essere solo le nate dal 1990 al 1995, con al massimo due «fuori quota».
E poi, quando cresceranno ancora? Lo sbocco naturale è il rugby delle donne. Che, anche se sono in pochi a saperlo, ha intorno a Milano una delle sue culle. Avevano cominciato vent’anni fa a Rho, con il Rugby Rosa. Poi, tra alterne fortune, il gruppo si era perso per strada. Si è ricreato, otto anni fa, a Monza. Ed è andata così bene che oggi il Monza è il punto di riferimento per il rugby femminile in tutto il nord ovest. Vengono ad allenarsi e a giocare a Monza da Brescia e da Torino. Ci sono marcantonie ma anche donne apparentemente normali. Quattro di loro sono nel giro della Nazionale, che fa anch’essa il suo Sei Nazioni, e che anch’essa prende spesso batoste quanto i colleghi maschi.
Sara Trilli, trent’anni, mamma di un bambino di 14 mesi («ovviamente, gli ho già regalato una palla da rugby») è una delle ragazze del Monza che giocano in Nazionale. Ha cominciato a giocare che era già grandicella, «una amica giocava, mi ha invitato a provare. E non ho più smesso». Un metro e 68 di altezza, 63 chili di peso, misure da donna normale. A sentire lei, imparare a placcare è stata la cosa più naturale del mondo: «Credo che sia anche una faccenda di istinto», dice.
Grinta, lealtà, birra e qualche parolaccia in libertà, le ragazze del Rugby Monza non si negano nulla dei riti dei maschi. Le allena un vecchio rugbista, Carlo Gaudino, che le ha portate per quattro volte alle semifinali scudetto.

Se gli chiedi qual è stato l’ostacolo più arduo, non parla di insegnare il placcaggio o il contatto in mischia: «Sempre di donne, si tratta. E quindi all’inizio erano un po’ gelose l’una dell’altra. Ma poi hanno capito....».

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