Cronache

Il sì detto in chiesa è di nuovo una cosa seria

Cambia l'atteggiamento dei sacerdoti: corsi prematrimoniali ferrei e le coppie devono dimostrare serietà. Preoccupazione per le troppe separazioni

Il sì detto in chiesa 
è di nuovo una cosa seria

La notizia è che il matrimonio è una cosa seria. Ed è il caso di dir­lo a voce alta, visto che da tanti an­ni nessuno lo diceva più. Qualche anno fa le chiese si svuo­tavano. Tra i sedicenti cattolici già negli anni Novanta i pratican­ti erano una percentuale esigua. L’Italia si era laicizzata,secolariz­zata. Agli Esami di Stato per l’abili­tazione all’insegnamento della Storia dell’Arte c’era chi alla do­manda «Com'è morto Gesù Cri­sto? » rispondeva «Decapitato». E se il prof obiettava qualcosa, il candidato si sentiva in dovere di rispondere: «Questo è un esame di Arte, non di Religione» (sono fatti veri, purtroppo).

Storie di ordinaria laicizzazione. Se però quello stesso candidato si doveva sposare, allora bisognava farlo in chiesa. Su questo punto, niente deroghe. Magari non era­no praticanti né la famiglia di lui né quella di lei, però c’era sempre una nonna da far contenta, o quantomeno da non deludere. Una nonna che magari a sua volta non metteva piede in chiesa da vent'anni, ma che era tanto devo­ta del tal santo, o che pur non es­sendo devota di nessun santo ave­va paura di quello che dirà la gen­te.

Passano infatti le generazioni e i costumi, ma da noi la frase «quei due non si sono nemmeno sposa­ti »fa ancora il suo bell’effetto.E al­lora eccoli obtorto collo a collo­quio dal parroco, a dire che si ri­cordano degli anni dell'oratorio e che, in fondo, sono credenti sep­pur poco praticanti. E il parroco a bersi la fiaba, anche perché i pro­blemi sono molti, c’è il tetto della canonica da riparare, e l'impian­to di drenaggio che non funziona. E papà e mammà hanno fatto un' offerta. Li ricordo, tanti preti, infa­stiditi da queste parate, con la chiesa piena di fotografi e cineo­peratori dilettanti, di fiori e di ami­che de­lla sposa vestite in modo as­sai poco opportuno, con due o tre là in fondo che addirittura faceva­no l’atto (pura abitudine, niente malizia) di mettersi una sigaretta in bocca.

Ricordo il mio vecchio parroco fu­ribondo con queste invasioni flo­reali che duravano il tempo della cerimonia, perché cinque minuti dopo di fiori non ne restava nem­meno uno (e così di fotografi, ci­neoperatori e gonne imbarazzan­ti): tutto trasferito al ristorante. Come sanno di Fratelli Grimm queste storie! Sembrano passati secoli. Gli ospiti di altri paesi, per esempio filippini o sudamerica­ni, hanno fermato l'emorragia di fedeli dalle chiese, e forse la serie­tà di molte coppie straniere, l'uni­t­à di molte famiglie con donne ve­late hanno rimesso i preti sull'av­viso. Il fatto è che, in materia di matrimoni, c'è stato un giro di vi­te, e si sente. Corsi prematrimo­niali obbligatori e rigidini, con i preti a dissuadere chi si accosta al Sacramento in modo superficiale quando non a consigliare «un pe­riodo di convivenza» (sic) alle coppie ancora poco sicure.

Le famiglie si sfaldano, i ragazzi ne soffrono, e i matrimoni stupidi producono non solo separazioni stupide, ma anche parecchio do­lore. Perciò, dicono giustamente i preti, chi si vuole sposare lo fac­cia seriamente, vada al catechi­smo, ripassi i dieci comandamen­ti, i sette vizi capitali, i cinque pre­­cetti, i quattro novissimi, le tre vir­tù teologali, fino a quell’Uno che forse, nebulosamente, sta dentro il cuore di noi tutti. Per ridare soli­dità alla famiglia - che sarà una pessima istituzione ma finora non è stato trovato di meglio - si può perfino chiudere un occhio sulla vecchia sessuofobia. Chi ar­riva più illibato al matrimonio? L'importante è essere pronti. Il prete non si chiede più se esser illi­bati ed essere pronti possano an­dare a braccetto. Occorre fare di necessità virtù. Perciò chiudia­mo un occhio.

Il mio timore è che tutto questo gi­ro di vite, questo appello alla serie­tà non sortano altro effetto che un po' di ipocrisia in più. Una fami­glia duratura è l'esito di qualcos' altro da un corso prematrimonia­le (dove non s'impara che cos'è un Sacramento se non si ha inten­zione di cambiare vita) o da un pe­riodo di convivenza. Ci vuole un senso, bisogna fare esperienza di un senso. Durante un corso prematrimo­niale due fidanzati si sono lascia­ti. Il prete ha commentato: «Il cor­so è servito a qualcosa».

Il rischio è che possa servire solo a questo.

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