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Sailer, l’uomo che conquistò Cortina

Scrivo da Cortina d’Ampezzo da tre giorni in lutto per la tragedia dell’elicottero, ma oggi il cielo si è appesantito anche per la fine di un fuoriclasse dello sci, il più grande nella storia delle nevi, che nel 1956, proprio qui, aveva vinto le tre gare olimpiche dello sci alpino: l’incommensurabile Toni Sailer. Gli sono stato molto vicino per due ragioni. La prima perché lui, diciannovenne, partecipò a una mia creatura, la 3Tre, vincendo lo slalom gigante. La seconda perché l’anno dopo trionfò ai Giochi olimpici di Cortina d’Ampezzo, dove io ero lo speaker di tutte le discipline alpine (a quei tempi non c’erano i tabelloni luminosi che adesso danno immediatamente il risultato).
La gara era nelle mie mani e io annunciavo quanto interessava. E lui si rivelò un fenomeno. Primo nella storia a guadagnare tutti gli ori come nell’atletica aveva fatto l’americano Jesse Owens a Berlino nel 1936 e come ha fatto nei giorni scorsi Bolt. Toni da allora ha continuato a vincere: tre titoli ai campionati del mondo del 1958, discesa, gigante e combinata, e l’argento nello slalom, ma lì concluse la sua carriera, forse perché non poteva fare di più, e sicuramente anche perché i produttori cinematografici lo catturarono facendogli subito interpretare un bellissimo film, sulla neve, dal titolo Angelo nero che ebbe gran successo e che piacque molto anche lo scorso anno a Cervinia dove accompagnai il grande Toni per il Film festival e per l’inaugurazione di un «monumento» simile a quello di Hollywood, dove i grandi sciatori lasciano le impronte dei loro piedi.
Ma perché fu tanto bravo e tanto imbattibile questo bel ragazzo austriaco di un metro e 84? Le risposte sarebbero più di una, ma una è del tutto particolare. Nel 1957 ero in America per le gare di fine stagione e gli atleti provarono una pista che sarebbe stata poi quella della discesa dei Giochi del 1960. Era tutta gobbe, ghiaccio e ripidissima. Gli atleti prima di abbandonarsi per la prima prova erano perplessi e guardavano verso valle. Lui invece si lanciò per primo saltando da una gobba all’altra come fosse stato un capriolo lanciato verso il fondovalle. Nessuno volle, seppe o potè imitarlo e quando ci ritrovammo gli domandai: «Ma tu Toni non hai mai paura? E lui, sorridendomi ma senza farne un vanto, mi disse “No, non conosco quella parola”». Quel momento non l’ho mai più dimenticato.
Ma ce n’è un altro, penso unico nella storia dello sport. Il mattino prima dello slalom olimpico del ’56 Toni non sentì la sveglia, venne recuperato in extremis dal suo allenatore, dimenticò il pettorale in camera, ma vinse il suo terzo oro. Quando smise di sciare fu portato su un campo da golf e anche lì rivelò una straordinaria propensione, divenendo in pochi mesi handicap due. E adesso Cortina vorrebbe dedicargli il proprio nuovissimo campo.

Addio caro Toni.

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