da Milano
Prima di piangere miseria alla ricerca di fondi per restituire potere d’acquisto ai salari degli italiani, il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa farebbe bene a ricordarsi quanto costa la Pubblica amministrazione. I cui costi sono lievitati in maniera indiscriminata e dove sembra che la meritocrazia esista già. Altrimenti non si spiegherebbe come mai, secondo la Corte dei conti, dal 2001 a oggi più di un dipendente su due ha avuto una promozione.
LE CIFRE. Quanti sono i dipendenti pubblici? Secondo la Ragioneria generale dello Stato sono passati dai 3.658.608 del 2001 ai 3.630.468 del 2005. Quindi 28mila persone in meno in cinque anni, senza contare però che nel frattempo i contratti di lavoro a tempo determinato sono aumentati del 50% circa (da 86.543 a 125.539 unità) mentre i contratti di formazione e lavoro e i lavoratori interinali si sono praticamente dimezzati (da 61.758 a 34.466). Mentre le retribuzioni nel quinquennio sono aumentate del 12,8%, passando da 90,2 a 101,7 miliardi di euro, il costo complessivo della macchina pubblica è aumentato di quasi 19 miliardi di euro, passando dai 130 miliardi del 2001 ai 148,7 miliardi del 2005, che però non contiene, se non in parte, gli aumenti contrattuali del biennio 2004-2005, corrisposti solo nel 2006.
«TRUCCO» CONTABILE. Ma perché il numero degli addetti è sceso e i costi sono saliti oltre il livello di inflazione programmata? È il frutto di un’alchimia contabile legata al mancato rinnovo dei contratti: secondo i magistrati contabili, infatti «il ritardo nella stipula dei contratti» comporta una distorsione che si ripercuote sulla «contrattazione di secondo livello», dove confluiscono voci diverse da settore a settore, determinando così «una complessiva crescita oltre il limite del tasso di inflazione programmata». Ecco come si spiega perché, ad esempio, il numero dei dirigenti è aumentato dell’1,1% ma il loro costo è aumentato del 17,4% a causa delle cosiddette «retribuzioni accessorie», o «integrative», cresciute in media in cinque anni del 31% a 12,5 miliardi di euro nel 2005 dai 9,5 miliardi del 2001. Anche in questo caso le differenze tra i settori pubblici sono enormi. Si passa dai +8% delle università al +66% della scuola, passando da enti locali ed enti pubblici non economici (+26%).
RAFFICA DI «PROMOZIONI». Ma a incidere pesantemente sulla macchina pubblica sono anche gli aumenti di stipendio legati ai cosiddetti «avanzamenti orizzontali», all’interno dello stesso livello d’inquadramento, e soprattutto di «avanzamenti verticali». Su 3,6 milioni di statali, quasi due milioni sono stati promossi negli ultimi 6 anni. Solo nel quinquennio 2001-2005, secondo la Corte dei conti, i dipendenti promossi sul campo sono stati oltre 1,6 milioni. In tutto circa due su tre.
IL PESO DELL’ASSENTEISMO. La diminuzione dei costi della macchina pubblica avrebbe giovamento anche sotto il profilo del debito pubblico monstre che l’Italia si trascina da decenni, Secondo la Cgia di Mestre, infatti, «l’Italia ha una spesa per il personale della pubblica amministrazione pari all’11% del Pil. Se riuscisse a portare l’incidenza degli statali al 7%, come avviene in Germania, in sei anni il debito pubblico, oggi pari al 105% del Pil, crollerebbe al 54%». Un motivo in più per intervenire. E sempre a proposito di Pil, basta ricordare che l’assenteismo tra gli statali, il 30% più elevato di quello nel settore privato, costa 14,1 miliardi l’anno.
Uno statale in media lavora otto ore al giorno per 225 giorni. Tolti i 104 giorni di pausa nel weekend, restano circa 36 giorni di ferie. Che a volte diventano 65 (ministero della Difesa), 67 (Inpdap) o addirittura 74 (comune di Bolzano).
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