I misteri della «medicina immaginaria» che cura quanto un farmaco reale continuano a stupire il mondo della scienza. E ogni esperimento conferma la miriade di declinazioni dell'effetto placebo. Uno dei poli più attivi nella ricerca è il dipartimento di neuroscienza «Rita Levi Montalcini» dell'università di Torino, dove lavora Fabrizio Benedetti, il massimo esperto al mondo sull'argomento.
Professor Benedetti, si dice che il placebo faccia effetto anche se il paziente sa di assumere acqua e zucchero. Come è possibile?
«Esiste una componente dell'effetto placebo del tutto inconscia. In altre parole, anche se si sa che non è un farmaco, l'effetto terapeutico è presente. È un po' come quando si guarda un film dell'orrore. Si sa che è tutto finto, eppure si ha paura. Così per il placebo. Si sa che è tutto finto, eppure si sta meglio».
Una recente ricerca dimostra faccia bene anche contro le delusioni d'amore.
«Non c'è da meravigliarsi, visto che il mal d'amore produce sintomi simili a quelli di una malattia (depressione, inappetenza, pianto) e questi sintomi sono sensibili a un trattamento placebo».
Lei considera l'omeopatia effetto placebo?
«Sì, non esiste alcuno studio condotto con rigore scientifico ineccepibile che dimostri che l'omeopatia sia meglio di un placebo».
Potenzialmente in che percentuale in nostro cervello può curarci da certi mali?
«Può farlo in tutte le condizioni dove la componente psicologica sia importante. Ad esempio sono sensibili al placebo il dolore, l'ansia, la depressione, la performance motoria».
Performance motoria? Cioè il placebo aumenta le prestazioni sportive?
«Gli sportivi a cui abbiamo somministrato un placebo, dicendo invece che era un dopante, hanno migliorato la propria performance».
E com'è possibile che funzioni anche il sala operatoria?
« È stato dimostrato che in alcuni casi non era l'intervento in sé a migliorare la circolazione cardiaca, ma la fiducia che il paziente vi riponeva. Oggi la chirurgia placebo coinvolge molti ambiti, ma ha un occhio di riguardo per la neurochirurgia, in particolare per la stimolazione cerebrale profonda e l'impianto di cellule per il trattamento della malattia di Parkinson».
Le applicazioni cliniche sembrano infinite.
«I nostri studi puntano proprio a sviluppare nuovi protocolli terapeutici e alternative all'uso di farmaci tossici. Potremmo arrivare anche a ridurre molto l'uso della morfina come antidolorifico».
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