Viviana Persiani
Anche se il 13 ottobre, Giornata Mondiale della Trombosi, è una data ormai lontana, vale la pena riprendere il tema di questa patologia pericolosa, soprattutto perché la maggior parte delle persone, e non solo in Italia, non ne conoscono il significato e nemmeno sanno come affrontarla. Un affresco drammatico dipinto da un'indagine condotta da Alt Onlus, l'Associazione per la Lotta alla trombosi e alle malattie cardiovascolari che sta lavorando, da trent'anni, per fare cultura sulla malattia. Ma cos'è, in effetti, la trombosi?
Il 13 ottobre del 1821 nacque Rudolf Virchovl, medico tedesco e pioniere del concetto di «trombosi», definito come un coagulo di sangue che si forma in un'arteria o in una vena, causando infarto del miocardio o ictus cerebrale, embolia polmonare o trombosi delle arterie o delle vene, quella che comunemente si chiama flebite.
Oggi, una persona su quattro nel mondo perderà la propria vita proprio a causa di un trombo, o rimarrà pesantemente invalida. La dottoressa Lidia Rota Vender, presidente di Alt, è promotrice di un'attenta attività di sensibilizzazione nei confronti di questo «nemico che dovremmo temere più di ogni altro: soprattutto perché possiamo batterla. Le malattie da trombosi sono l'incontro più probabile per tutti coloro che hanno 50 anni o più, ma possono essere evitate almeno in un caso su tre, perché la prevenzione delle malattie funziona davvero e dipende molto da ciascuno di noi».
L'Alt Onlus, infatti, lavora per diffondere conoscenza e consapevolezza, sensibilizzando gli over 50, sicuramente più soggetti a trombosi e sollecitandoli alla prevenzione. Come si può riconoscere la trombosi? Dolore o gonfiore di una gamba, della caviglia o della coscia, rossore e calore della parte colpita. Il trombo, inoltre, può liberare emboli che, dalla vena arrivano al polmone: allora il respiro diventa corto, il torace comincia a dolere e il ritmo del cuore accelera. Siamo di fronte all'embolia polmonare.
Attenzione però, perché spesso, quello che viene chiamato tromboembolismo venoso (secondo le stime provoca quasi 1.500 decessi al giorno) viene sotto-diagnostico in quanto asintomatico. Quali sono i fattori di rischio? E chi è facilmente soggetto a trombosi? In genere, chi ha subito un intervento chirurgico ed è rimasto immobilizzato a lungo, magari in un letto d'ospedale, come chi porta un'ingessatura, ma anche le donne in gravidanza e nel periodo dopo il parto.
Un'attenzione particolare, la dovrebbero avere coloro che assumono farmaci a base di estrogeni o chemioterapici. Anche chi soffre di una malattia infiammatoria acuta o cronica, come la cardiopatia, disturbi polmonari, o altre patologie infiammatorie intestinali è soggetto a trombosi, senza dimenticare che il fumo può aumentare il rischio di ammalarsi del 24%. Ma come possiamo contrastare questo acerrimo nemico, spesso silenzioso?
Anzitutto, evitando uno stile di vita sedentario; coloro che sono costretti a stare seduti per lunghi periodi dovrebbero alzarsi e camminare ogni due o tre ore per muovere le gambe, fare esercizi di contrazione e rilassamento muscolare e indossare anche un abbigliamento comodo. Una volta, però, diagnosticata la patologia, evidenziabile da un'ecografia, dalla venografia, ma anche dalla risonanza magnetica (RM) e la tomografia computerizzata (TC), senza trascurare il test del D-dimero, si può intervenire con dei farmaci anticoagulanti, utili per alleviare i disturbi.
Le calze elastiche a compressione rappresentano un ausilio per lenire il dolore e agire sul gonfiore delle gambe, calmandolo. Scienza e ricerca sono venute in aiuto dei soggetti a rischio, mettendo a punto terapie all'avanguardia: ad esempio, la trombolisi catetere-diretta oppure farmaco-meccanica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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