Coronavirus

Virus, come funzionano i test sierologici per ottenere la "patente di immunità"

Gli esami, che non sostituiscono in alcun modo i tamponi, scoprono se il paziente è venuto a contatto con il Covid-19 e in quanto tempo. Al momento sono disponibili tre test sierologici: uno qualitativo e due quantitativi

Virus, come funzionano i test sierologici per ottenere la "patente di immunità"

Funzionano come una sorta di indagine su di noi e ci fanno sapere se, ora o in precedenza, siamo venuti a contatto con il nuovo coronavirus. I test sierologici funzionano così e a partire dal sangue cercano gli anticorpi che l'organismo produce in risposta a un virus specifico ma, ovviamente, non sostituiscono i tamponi, che servono invece a individuare le persone infette e contagiose. Ma sono utili per capire quanto siamo "protetti".

Quali anticorpi

Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, gli anticorpi cercati dai test sierologici sono le Immunoglobuline M (IgM), che si manifestano entro sette giorni dalla comparsa dei sintomi e permettono di conferamre la diagnosi di infezione con precisione, e le Immunoglobuline G, prodotte dopo 14 giorni, una sorta di "memoria immunitaria". Queste ultime ci proteggono anche se, nel caso del Covid-19, non è ancora stato chiarito per quanto tempo e, soprattutto, in quale misura.

Tre tipi di test

In questo momento, per questo tipo di verifica, sono disponibili tre tipi di test sierologici: due "quantitativi" da laboratorio con due tipologie di metodo diverse (in chemiluminescenza e in EIA) e uno "qualitativo" a immunocromatografia, che si può definire "rapido", perché ha tempi di risposta di circa 15 minuti. In base a quanto riportato dal quotidiano, i test rapidi presenterebbero però una minore precisione.

I limiti delle "indagini"

In questa fase dell'epidemia, infatti, utilizzare soltato questi ultimi comporterebbe problematiche importanti. Le diagnosi, infatti, non rileverebbero un'infezione nelle sue fasi iniziali ed è proprio nella prima settimana che i pazienti contagiati da Sars-CoV-2 rilascerebbero il virus nella massima concentrazione. Avere prodotto gli anticorpi, infatti, non significa non essere contagiosi. Secondo quanto dichiarato da Fabrizio Pregliasco, virologo dell'università Statale di Milano, questi testi "vanno bene per valutare gruppi di popolazione, ma sono pericolosi su una singola persona: se ho un falso positivo, il soggetto pensare di essere immune e potrebbe infettare altre persone". E aggiunge: "Anche se si parla del 3% è comunque un rischio: non può essere l'unico parametro per programmare la ripartenza".

Le incognite della ripresa

"Alla ripresa o facciamo milioni di tamponi e non è sostenibile o troviamo una via alternativa", ha spiegato Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano. Che poi ha chiarisce: "Per risolvere il problema dei falsi positivi e dare la patente di immunità potremmo sottoporre a tampone tutte le persone che hanno sviluppato gli anticorpi. Se saranno anche negativizzate, potranno tornare operative senza prendere precauzioni. Verosimilmente sono guarite e non contagiose".

La "patente" di immunità

E sulla questione di "patente di immunità" ci si concentra per la ripresa al termine dell'epidemia di Covid-19. E se non basta essere immuni, è necessario anche comprendere per quanto tempo gli anticorpi sono in grado di proteggere le persone. Nel caso di Hiv, per esempio, l'organismo sviluppa degli anticorpi utili alla diagnosi, ma che non forniscono alcuna immunità al virus. Tuttavia, in base all'esperienza con altri coronavirus, sembrerebbe che le persone guarite da questa infezione possano godere di una protezione di almeno un anno o due, ma non si tratta di una conclusione certa. Secondo quanto riportato dal quotidiano, infatti, si potrà capire soltanto facendo altri test a cadenza fissa, come ha deciso di fare la Germania, dove serviranno tre verifiche prima di assegnare un "passaporto di immunità".

L'esempio di Castiglione d'Adda

Per Galli, è giusto ripetere i test periodicamente, anche perché quelli rapidi sono meno invasivi e costosi da punto di vista organizzativo: "Noi li stiamo procando: se avremo le autorizzazioni li useremo anche per la valutazione a tappeto della popolazione di Castiglione d'Adda, dove il 70% dei donatori di sangue era positivo a Covid-19. Questo ha dimostrato che in quel paese l'infezione era molto diffusa. Vogliamo capire quante persone si sono infettate, quanti sono i guariti e quanti sono attualmente i positivi".

L'utilità per i vaccini

Anche in altri Paesi, i ricercatori hanno iniziato a lanciare "serosurveys": i test su campioni rappresentativi servono a misurare quanto si sia vicini al concetto di immunità di gregge.

E poi c'è il tema dei vaccini: i test su larga scala potranno indicare quali persone avranno la priorità nella programmazione della vaccinazione di massa.

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