Il San Carlo rinato: Muti celebra Napoli

Alle festa per il restauro il maestro dirige un drammatico Te Deum. E alla fine, tra gli applausi, ripete Fratelli d’Italia

Il San Carlo rinato: Muti celebra Napoli

Napoli - Festa di Napoli, cioè festa della musica, cioè festa del mondo. Nelle ricorrenze felici, la storia riaffluisce, il presente e il futuro prendono la luce non della trafficata esistenza che noi poveri umani ci scompigliamo a vivere, ma di quelle verità che via via siamo riusciti ad affacciare fuori dal tempo, con lavoro ostinato ed orgoglio perenne. Napoli è una capitale della musica: conserva nella sua biblioteca commovente innumerevoli partiture di quando i visitatori accorrevano a sentir nascere le opere dei grandi maestri con le voci più ammalianti. Non si trattava di autori isolati convenuti per prestigiosi interventi; ma di una civiltà che sognava la grandezza eroica nell’armonia delle opere serie o scherzando nella comicità delle opere buffe scopriva la ricchezza della normale vita quotidiana, ne leggeva crucci e malinconie e ingiustizie viste con la felicità del lieto fine. E, senza mai metterla giù dura, imponeva sorridendo il riscatto della donna per la sua geniale, fascinosa concretezza.
Così conquistava l’Europa, e non per nulla ancora adesso in tutto il mondo risuonano le voci di Pergolesi e di Cimarosa, di Paisiello, e poco a poco si ristudiano e si ritrovano Vinci e Leo, e Piccinni e tutti gli altri, con la tinta inconfondibile del loro canto.

Riccardo Muti, che è napoletano e che più di tutti autorevolmente porta nel mondo questa memoria e questa vitalità, ha celebrato la festa del teatro San Carlo restaurato alla grande, e della gente che vi ha partecipato. Era carico più di sempre: irrompeva, alla fine dell’applauso lungo che aveva salutato il Presidente della Repubblica, venuto a dare testimonianza con le autorità, staccando l’Inno Nazionale ad un tempo rapidissimo e con un’energia che galvanizzava orchestra e coro, e poi li ha impegnati efficacissimamente in un programma sapiente ed ardito.

Prima l’ultima sinfonia di Mozart: la grande Jupiter, come un omaggio fra capitali della musica Napoli-Vienna; ma non con vistosa solennità: anzi, come in una conversazione leggera che unisca i segni forti e le allegrie rievocate del primo tempo in una confidente saggezza, si sprofondi in una meditazione affettuosa nel secondo, indugi quasi pigramente nel terzo per poi far scatenare da ogni parte dell'orchestra l'incontenibile piccolo tema che conquista travolgente tutte le grandi forme della musica sinfonica in una vittoria meravigliosa.

Poi uno sconosciuto Veni, creator Spiritus di Nicolò Iommelli, un altro dei grandi Maestri napoletani del Settecento, con l’orchestra ed il coro a ranghi filologicamente ridotti, dove il raffinato soprano Maria Grazia Schiavo, con la sua voce sottile distesa su arabeschi suadenti sembrava cercare di sedurre direttamente lo Spirito Santo, convocato a benedire tanta grazia e libertà.

Infine la grande preghiera laica, cioè semplicemente la grande preghiera, di Verdi nei suoi ultimi anni: Stabat Mater, con la coltellata iniziale delle voci sull’attesa dell’orchestra, e con la pietas che a tanto crudo e inspiegabile dolore partecipa con rispetto sacro e pienezza di sentimento; e quel Te Deum drammatico e potente, che si chiude ripetendo trionfale «In Te ho sperato» ma ci lascia su una stessa sottilissima nota a distanze estreme, quasi volesse lasciare dischiuso l’abisso del dubbio o della speranza.

La gente non andava via e chiedeva il bis e così Muti ha parlato e ha spiegato che

adesso, riaperto il teatro e dopo tanta intensità degli artisti, tocca al suo pubblico continuare la strada della civiltà con grandezza; e, come per festeggiare questo nuovo inizio, ha ripetuto l’Inno nazionale per tutti noi.

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