Cultura e Spettacoli

La sanità telegenica che esorcizza le nostre paure

La gente ha bisogno di concretezza: pochi sogni, molta realtà. È il segnale di una società che teme il futuro o, quanto meno, che non avverte il bisogno di progettare se stessa in un mondo da costruire, in una dimensione nuova da immaginare. Questo accade sempre quando le ideologie progressiste, emancipatrici e le tensioni utopiche lasciano il posto alla conservazione e alla difesa dell’esistente.
Cosa rappresentano le fiction (in grande numero in onda in Tv) che hanno per protagonisti i medici, che hanno per soggetto vicende di ospedali, pronti soccorsi, tavoli operatori, laboratori di analisi cliniche? Sono la cura e la speranza di superare indenni la malattia: negli argomenti delle fiction si rispecchiano i telespettatori, rassicurati da una realtà medica che funziona alla perfezione, con dottori bravi e generosi. Sappiamo che il successo di romanzi e di film si basa in massima parte in una suggestione mimetica, cioè nella capacità di provocare un processo di identificazione tra lo spettatore e la trama del film, della fiction, del romanzo. Ci potranno, dunque, essere tra gli appassionati estimatori di questi serial a puntate giovani che aspirano a diventare medici e vedono quanto la televisione esalti la loro futura professione, ma prevalentemente suppongo che il successo venga decretato da un pubblico non più giovanissimo che ha già avuto esperienze di ospedali o che sa di finirci dentro prima o poi: basta aspettare. Ecco che quelle fiction danno un quadro consolante e realistico: nonostante le notizie di malasanità che ci arrivano con spietata regolarità, c’è anche una buona sanità che la televisione ci presenta, anche se in un teleromanzo, ma che non è insensato supporre che esista. Il bravo medico della fiction non è ammirato e amato dallo spettatore perché è un eroe, figura unica e eccentrica. Ma perché in lui si vuol vedere il dottore del nostro ospedale vicino, capace di guarirci quando ne abbiamo o ne avremo bisogno.
Oggi è proibito (da noi stessi con una buona dose di buonsenso) sognare; è meglio rimanere con i piedi per terra. Come si può pensare che un ospedale ci faccia sognare, immaginare situazioni meravigliose? Le fiction sugli ospedali sono i nostri piedi che appoggiano per terra e che fanno un passo dopo l’altro con prudenza, senza pericolosi slanci utopici. E senza neppure quelle fantasie che ci proiettano in avventure d’amore di miliardari che abitano in palazzi dorati, che viaggiano con macchine superlusso verso spiagge incantevoli, alloggiando in alberghi da mille e una notte. Sto, naturalmente, pensando ai vari Dynasty, Dallas... Adesso che l’ultimo governo Prodi ci ha spiegato che anche i ricchi dovranno piangere, perché mai noi impiegati dovremmo sognare la ricchezza che poi ci farebbe comunque piangere e soffrire? Meglio desiderare un bravo medico e un ospedale pulito che, quando necessario, ci curano la colite.

E intanto ci prepariamo a capire bene chi siano i bravi medici e come siano gli ospedali puliti, come si possa uscire indenni da una grave malattia e come avvenga la riabilitazione, guardando la televisione. Come si dice: chi si accontenta, gode.

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