Gira e rigira, al Festival di Sanremo tocca sempre di partire con il fiatone. Vabbé, si dirà, mancano così tanti mesi, lAriston si accende di solito intorno alla terza, massimo quarta settimana di febbraio. In realtà per mettere in piedi una macchina così spropositata, cinque serate da quasi quattro ore luna, cantanti e canzoni, orchestrali, ospiti eccetera eccetera ci vuole tanto tempo, ci vuole un progetto o per lo meno una visione generale.
Prima di tutto cè bisogno di un presentatore, che è il perno intorno al quale ruota tutto sin dai tempi di Nunzio Filogamo o giù di lì. E il presentatore ancora non cè. Almeno ufficialmente. Tramontato per lennesima volta Carlo Conti, parzialmente oscurate le ipotesi di Milly Carlucci o Gianni Morandi, laltro giorno Gabriella Sassone su Eva Tremila ha tirato fuori il nome di Antonella Clerici. Nome possibilissimo, per carità. E pieno di significati. Antonella Clerici fa parte della squadra di Lucio Presta, che sembrava un po in rotta con la Rai. Se fosse davvero lei, vorrebbe dire che la buriana è passata e che il più importante dei manager televisivi, senzaltro il più trasversale, ha ritrovato larmonia con la Rai guidata da Lorenza Lei. La Clerici, che secondo le indiscrezioni è tornata in fretta e furia a Roma da Bruxelles dove era andata a trovare la figlia Maelle e il compagno Eddy Martens, sarebbe una garanzia perché due anni fa la sua edizione ha fatto len plein di ascolti e perché è in linea con il pubblico del Festival, poco voglioso di sperimentazioni e assai più disposto a godersi uno spettacolo con i rassicuranti cromosomi del varietà. In fondo Sanremo è uno dei pochi brand su cui la Rai può ancora puntare a occhi chiusi in una fase, soprattutto televisiva ma anche musicale, di estrema frammentazione che incoraggia e amplifica la volatilità del telespettatore. Più canali ci sono, compresi quelli gratuiti del digitale terrestre, e più scelte si possono fare. Più scelte e meno affezione.
Insomma, fatte salve le difficoltà oggettive di copertura del territorio (in certe zone dItalia il digitale terrestre è ancora una roulette russa), la nuova televisione favorisce la transumanza degli spettatori, lo spostamento da qui a lì a là senza un criterio prevedibile e neppure monitorabile. Perciò il Festival di Sanremo, che è sempre stato un appuntamento centrale della televisione di Stato, a maggior ragione oggi è lombelico del palinsesto, un punto centrale intorno al quale ruota (quasi) tutto il resto. E il tempo stringe, a questo punto. Non solo dal punto di vista televisivo. Ma anche per i potenziali concorrenti non cè più tanto da scialare, perché una canzone generalmente non nasce in quattro e quattrotto: bisogno di accomodarsi a proprio agio dentro un progetto che spesso richiede di essere messo a punto. Lo sa bene Gianmarco Mazzi, il direttore artistico che più di tanti altri ha favorito e accompagnato la rinascita di un evento che a inizio Duemila sembrava destinato a sparire ma che adesso è sempre più importante.
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