Fabrizio Micheli
Sarebbe meglio venirci in aprile, quando a Sezze gli fanno la festa. Parliamo dellormai celebre carciofo Igp di queste parti, dalla scorza coriacea ma dal cuore dolce, con quel sapore fra il dolce e il ferroso. Già, perché da Santuccio, ristorante-albergo fra i più noti e antichi della cittadina laziale, di questo periodo non li cucinano perché, giustamente, il carciofo non è in produzione (e allora, quelli che mangiamo tutto lanno in certi locali?), mentre da marzo a maggio cè il festival del Cynara, preparato in tanti modi: in zuppa con il pane raffermo (il famoso pane di Sezze, citato da Valerio Flacco), in tegame con il vino, e negli altri piatti canonici. Ma anche a settembre una visita da Santuccio riserva sorprese piacevoli. A cominciare dalla carne, che richiama schiere di fan. Si è sparsa infatti la voce che qui la tagliata di manzo alla brace, cucinata nel grande e scenografico camino, faccia concorrenza alle migliori chianine. Avendola provata possiamo confermare lardito paragone. Tenera, succosa e dolce, è davvero grande carne, grazie al «sacrificio» di bestie che provengono solo da allevamenti locali.
Santuccio, altro che chianina
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