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«Sarà difficile recuperare quei tre cadaveri»

Chiarito il giallo del quinto componente dell’equipaggio: era il meccanico

nostro inviato a Palermo
Viste dalla spiaggia di Mondello - tutta una conseguenza di chioschi, ristoranti e trattorie, di terrazze a mare e di bagnanti che si sono farciti per bene di torreggianti grigliate di pesce e quarti d'anguria, e ora giacciono oberati dalla crapula sotto gli ombrelloni - le due motovedette della capitaneria si confondono tra le barche a vela, i motoscafi e il naviglio minore che punteggiano la rada.
I marinai per un giorno cercano svago, acque meno congestionate, vento per tirare quattro bordi di bolina. I marinai delle vedette cercano cadaveri. E siccome un perverso giro di corrente in mattinata si è messo a puntare dritto sulla costa, dice il capitano di vascello Giuseppe Zaccaria, «vediamo di evitare che i corpi non ancora recuperati riemergano tra la gente che fa il bagno». Sempre che le vittime siano state proiettate fuori dalla carlinga al momento dell'impatto, e non siano invece rimaste intrappolate in coda all'Atr 72 ammarato ieri l'altro al largo di Capo Gallo. «Perché se è così - dice Zaccaria, che è il comandante in seconda della capitaneria di Porto di Palermo, guardando dalla finestra del suo ufficio gli oleandri scarmigliati dal vento che ingentiliscono la palazzina della capitaneria, linda e ordinata come fosse quella di Copenhagen - la cosa si complica, visto che in quel punto il mare è profondo oltre 1.200 metri».
Li chiamano ancora «dispersi». Uno è il meccanico Harbaoui Chokri, membro dell'equipaggio «aggiunto» e protagonista, suo malgrado, di una turbolenza di pensieri (sollevatasi fulminea tra la pattuglia di cronisti che senza un minimo di dietrologia affrontano svogliatamente la giornata) che stava virando verso il giallo. Poi c'è Francesco Cafagno, un ragazzo di Bari, e Raffaele Ditano, 35 anni, di Alberobello, partito per Djerba con la moglie Flora La Catena e la piccola Maria Grazia, di 11 anni. Moglie e figlia salve. Lui ancora laggiù, in mare, da qualche parte, e i parenti disperati che supplicano, che implorano perché si vada a prendere il corpo. A 1.200 metri di profondità, perché no?
A far svaporare il giallo legato alla presenza a bordo di un misterioso meccanico, che all'inizio non figurava nell'elenco degli imbarcati, è stato lo stesso procuratore Grasso. Il «passeggero non pagante» intorno al quale si è almanaccato (oltre al pilota, al copilota e a due assistenti di volo) era appunto Chokri. Era a bordo? Non era a bordo, come qualcuno sosteneva fino a sabato notte? Era a bordo, ha stabilito il direttore dell'Enac di Bari. E come mai, stando sempre alle voci che filtravano da Bari, era entrato nella cabina di pilotaggio? «Vedrete, prima di sera, su Internet spunterà un messaggio di rivendicazione di qualche setta salafita maghrebina», sostenevano convinti i fan della pista terroristica. A costo di far dispetto al segreto istruttorio, il procuratore Grasso puntualizza: «Il meccanico era stato chiamato in cabina perché uno dei motori si era bloccato. Ma quando è entrato, si era spento anche l'altro motore». Quanto alla presenza a bordo di Harbaoui Chokri, anche qui nessun mistero. L'uomo, verosimilmente, non era mai sceso dall'aereo giunto dalla Tunisia, e dunque in un primo momento non figurava tra la gente «imbarcata» a Bari.
L'ammiraglio Vincenzo Pace, capo della Direzione marittima della Sicilia occidentale non è al suo posto. È andato a ricevere il ministro Lunardi, a fare il punto col procuratore capo Grasso e a riordinare le idee prima del vertice in prefettura. Perché di un bel vertice, in un caso come questo, e con questo bel corredo di telecamere, nessuno vuole privarsi.
Al posto di comando, in capitaneria, è rimasto il capitano Giuseppe Zaccaria. Per tutta la notte, lui e i suoi uomini hanno governato la flotta di 11 motovedette (tra capitaneria, Guardia di finanza e vigili del fuoco) e l'elicottero della Guardia costiera che hanno pattugliato la zona di mare in cui il comandante dell'Atr 72 ha fatto posare con grande sangue freddo e professionalità quel cassone improvvisamente ammutolito che se ne veniva giù come un uccello collassato.
«Altre 6 motovedette pattugliano la zona di Terrasini, Termini Imerese e Cefalù», aggiunge Zaccaria. Perché non è detto che i «dispersi» non stiano fluttuando in quella direzione.
Trentotto gradi, 24 primi e 16 secondi di latitudine Nord. Tredici gradi, 27 primi e 30 secondi di longitudine est. Ecco il punto nave in cui l'Atr è piombato in acqua. All'intorno, è stato disegnato virtualmente un quadrato di venti miglia di lato. È lì, essenzialmente, che ancora si concentrano le ricerche. Il resto è routine. L'autopsia sui tredici cadaveri recuperati; il viaggio dei parenti arrivati da Bari, schiantati dal dolore; le storie dei poveri morti, che tocca riordinare e mettere in colonna; il sequestro dell'autobotte che nel primo pomeriggio di sabato rifornì di carburante l'Atr 72; l'inchiesta sulle cause dello spegnimento dei motori. Un caso, quest'ultimo, che si verifica «una volta su un miliardo», dice il direttore centrale delle operazioni dell'Enac, Benedetto Marasà. E se cerca nella memoria gli sovviene solo un caso analogo, «un aereo canadese che però riuscì a compiere un atterraggio di emergenza a Madeira».
Visti dagli spalti dell'immensa nave traghetto della Snav che collega Palermo a Napoli, i resti dell'aereo tirati a riva sembrano un pezzo di giocattolo rotto. Ma anche da vicino, ora che i carabinieri e gli uomini in bianco di Giuseppe Zaccaria aprono un piccolo varco ai cronisti, quel che rimane dell'Atr fa impressione per la sua pochezza. Giusto il frammento centrale, sei o sette finestrini, le ali e i due motori. Accanto, un altro pezzo di fusoliera con il carrello. Le ali pressoché intatte, come i motori, che aspettano di raccontare la loro storia. La carlinga invece schiacciata come fosse stata di cartone, al punto che non capisci come potessero starci, in quel cilindro ammaccato, delle persone. All'interno, nel cavo vuoto da cui ancora spisciola qualche goccia d'acqua, un intrico di cavi elettrici che dondolano nel vento, e parti della coibentazione, di un verdino scialbo scialbo. Laggiù, verso Capo Gallo, il mare trascolora, puntando verso un blu intenso. «Rinforzi, raffiche di trenta nodi da maestrale sulla zona delle ricerche», sta dicendo infatti la radio che un sottufficiale della capitaneria si porta appresso. Il comandante Zaccaria guarda i suoi uomini. Nessuno parla.

Gli occhi di tutti dicono: per oggi è finita qui.

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