Come nuove: gliele affidavi malconce, il cuore un po’ triste perché sì che grazie a loro di strada ne avevi fatta. Lui, però, col suo camice che sembrava rubato all’atelier di un pittore, macchiato di lucidi multicolori e intriso di odori acri sorrideva sempre dicendo di ripassare fra qualche giorno. Con gesto sapiente, un po’ di colla per la tomaia ed un colpetto col martello, anche il tacco tornava chilometri zero. C’era una volta il calzolaio, quasi sempre un omino con la soluzione fra le mani. E con lui c’erano una volta anche i sarti, quelli con l’ago e filo appuntato al petto come una pochette e col centimetro intorno al collo come un diadema. Oggi la loro storia somiglia più ad un ricordo e le storie nuove non parlano più italiano, ma cinese. Lo dimostrano i numeri della Camera di commercio, presentati ieri in occasione del Premio Lanfredini, che ha chiuso le sue indagini sui registri d’impresa aggiornate a settembre 2009 con una certezza: a Milano, dall’inizio dell’anno, i cinesi hanno superato gli italiani nell’apertura di nuove attività, come sartoria, pareggiando invece il conto in calzoleria. Su 34 nuove iscrizioni di sartorie e confezione su misura, 12 sono riconducibili a cinesi e solo 10 ad italiani. In percentuale questo significa che il mercato cinese copre il 35,5%, mentre gli italiani si fermano al 29,4%. Un artigiano su sette a Milano è dunque straniero, più che in Lombardia e Italia che ne contano invece uno su undici. Sono infatti 473 i
titolari d’impresa individuale di origine straniera che operano sul territorio milanese nei settori dell’artigianato
tradizionale. «Bisogna specificare - spiega Marco Accornero, membro di Giunta della Camera di commercio e segretario generale dell’Unione artigiani di Milano - che si tratta di attività di riparazione e non di artigianato tradizionale, settore nel quale gli italiani sono ancora ovviamente leader». Ma intanto da un orlo ad un rammendo, i cinesi prendono piede: professionalità precise, ben altra cosa rispetto al nostro artigianato tradizionale, ma «la loro offerta risponde ad una precisa domanda: gli italiani non vogliono fare più questo mestiere mentre la crisi ha accentuato la cultura del risparmio e della riparazione». Diverso il discorso dei «calzolai» cinesi: il dato riguarda piccoli numeri ma indica una tendenza nuova. «Quello dei calzolai era un settore saldamente in mano agli italiani - spiega Accornero - : ora registriamo una tendenza che per noi è positiva purché sia sana e si basi su regole di una sana concorrenza».
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