Cristiano Gatti
nostro inviato al Sestriere
Vittoria all'italiana. Neanche avesse il Trap in ammiraglia, Paolo Savoldelli porta a casa il suo secondo Giro d'Italia con un sublime catenaccio d'epoca. Difesa di ferro, difesa a oltranza. Ma senza mezzucci e furbizie: sempre con una lucidità esemplare, al limite del genio strategico. Il suo vero trionfo si registra sul Colle delle Finestre, una montagna che è meglio segnarsi in agenda e nella memoria, tra muraglie di tifosi indemoniati e nuvole di polvere antica. Su questo sterrato, in questi attimi indimenticabili, la maglia rosa sfodera più la testa delle gambe. Per prima cosa evita debitamente di rispondere all'andatura pazzesca dell'alleanza Di Luca-Simoni, scegliendo di mantenere il suo ritmo regolare. Come seconda cosa si presenta puntuale all'appuntamento coi massaggiatori, mandati avanti con i viveri e gli alimenti vitali per una giornata pesantissima. Come terza cosa, cerca con scrupolosa attenzione di non restare mai solo, aggregando strada facendo il gruppetto giusto per il catenaccio.
Mentre Savoldelli costruisce così la sua vittoria, gli attaccanti costruiscono con cieco masochismo la propria disfatta. Di Luca e Simoni non mangiano e non bevono. In secondo luogo, eliminano ad uno ad uno tanti possibili compagni di viaggio, restando col più letale di loro, il minuscolo venezuelano Rujano. Risultato? Ai piedi dell'ultima salita, verso il Sestriere, Di Luca cede ai crampi e si stacca. Simoni, da parte sua, decide di non aspettarlo, finendo così per esaurirsi nel giro di pochi minuti, anch'egli inesorabilmente al limite dei crampi. Risultato finale: il mitico Rujano attacca e va a vincere da solo, Simoni perde il Giro, Di Luca perde il podio, Savoldelli resta rosa a futura memoria. Alle volte, i giochi strani dell'intelligenza.
«Ho vinto perché sono rimasto tranquillo. Mai farsi prendere dal panico»: con questa elementare e disarmante strategia, Savoldelli spiega il successo nel Giro più equilibrato, più avvincente, più divertente degli ultimi anni (voto all'ultima tappa: 10). Ma anche nel Giro più mediocre. Il giudizio non sembri carogna. O intempestivo. Anche nei momenti dell'epica e dell'entusiasmo, come insegna Savoldelli, bisogna sforzarsi di mantenere lucidità. E allora resta doveroso e sacrosanto parlare di un Giro molto divertente, che fino a due chilometri dal traguardo non rivela il vincitore, ma anche abbastanza scarso. I due purosangue al via, Cunego e Basso, finiscono in modi diversi fuori dalla classifica (per Ivan, dopo la bellissima doppietta di vittorie, mal di gambe e saggia decisione di non bruciarsi inutilmente: arrivederci al Tour). Sul podio ci finiscono due corridori italiani che oltre confine non hanno alcuna quotazione, nonché un ragazzino venezuelano di 49 chili. Su, facciamocene una ragione: non è un risultato da sbattere in vetrina. Da esibire all'occhiello. Però attenzione: niente di tutto questo deve suonare a detrazione del vincitore, che la sua maglia se l'è guadagnata sino in fondo.
Qualcosa, se mai, va detta sul grande sconfitto, al secolo Gilberto Simoni. Anche se l'intera valle del Sestriere risuona ancora del suo botto sull'ultima salita, secondo tradizione personale ha le idee chiare sulle ragioni della sconfitta. Colpa dei colombiani che non l'hanno assistito sul Colle delle Finestre, colpa del ritmo troppo sostenuto dell'alleato Di Luca. Ma non solo. Con tocco di classe, regala il colpo di scena finale anche alla lunga sit-com «Casa Cunego», che ha animato l'intero mese di maggio degli italiani: «Forse, partendo senza Cunego, avrei potuto impostare il Giro in un altro modo. E comunque, lui poi è crollato: così ho dovuto fare tutto da solo, il capitano e l'attaccante».
E ti pareva che non fosse colpa di Cunego. Ma che bella cosa.
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