La manifestazione antiamericana di Vicenza prevista per oggi è l’ultimo degli errori politici inanellati dalla maggioranza in dieci mesi di governo. Si cominciò nell’estate con le previsioni catastrofiche di Tommaso Padoa-Schioppa sull’andamento dell’economia e dei conti pubblici. Qualche mese dopo i risultati sull’uno e sugli altri si incaricarono di sbugiardare alla grande il ministro dell’Economia. Il secondo errore fu quello di partorire una Finanziaria mostruosa contro la quale sfilarono in corteo tutte le categorie e gli ambienti produttivi e culturali del Paese. Molti di quei cortei erano guidati o accompagnati dai leader dei partiti di maggioranza e da alcuni sottosegretari. Insomma governo e maggioranza sfilavano contro maggioranza e governo. Una nuova riedizione del Paese di Pulcinella.
Nell’intervallo tra un corteo e l’altro vedemmo schiamazzare sotto Montecitorio insieme a un gruppo di suoi amici anche Antonio Di Pietro, che protestava contro l’indulto che la sua stessa maggioranza si apprestava a votare. Nel frattempo veniva scaricato sul Parlamento un fiume di leggi che volevano riformare tutto in poche settimane con il risultato facilmente prevedibile di un ingorgo parlamentare dal quale non sarà facile uscire. Anche perché quel fiume è pieno zeppo di cose uguali e contrarie (per rendere effettive le norme della Finanziaria occorrono ancora alcune centinaia di provvedimenti). Nel frattempo si realizzava lo scontro con la Commissione europea sulla fusione Autostrade-Abertis e l’avvio di una procedura di infrazione. Ma era ancora niente.
Poco prima di Natale il governo si è trovato in uno stato di assedio grazie alla sua confusa maggioranza.
Le fibrillazioni iniziarono sulla linea di politica estera dopo alcuni risultati positivi (vedi la missione in Libano). I pacifisti della sinistra radicale rimisero in discussione la nostra presenza in Afghanistan, nel quale i militari italiani sono a fianco di colleghi di altri trentasei Paesi all’interno di una iniziativa dell’Onu. Le fibrillazioni furono talmente forti da spingere sei ambasciatori di altrettanti Paesi a mettere per iscritto un appello all’Italia perché rimanesse in Afghanistan. Nel frattempo la Nato chiedeva a tutti un maggiore sforzo per contrastare la prevedibile offensiva primaverile dei talebani. Una irritualità quella dei sei ambasciatori che testimonia, però, i difficili rapporti in particolare con gli Stati Uniti. Ha ragione il ministro della Difesa Arturo Parisi. Nella politica estera non possono esserci ambiguità o incertezze. E nella maggioranza attuale sono due le linee che si fronteggiano, una delle quali chiede esplicitamente il ritiro delle nostre truppe dall’Afghanistan così come due sono le valutazioni sulla base americana a Vicenza. La prima favorevole anche se tesa ad un’offensiva di persuasione per modificare il luogo dell’insediamento, la seconda nettamente contraria.
Mentre sul versante della politica estera crescono, dunque, i bagliori delle incomprensioni e delle ambiguità si è aperto un altro fronte polemico, quello sulle coppie di fatto. Cosa mai abbia impedito che la tutela di alcuni diritti personali potesse essere affidata ad iniziative parlamentari lasciando fuori dalla mischia il governo, è cosa che ancora oggi nessuno sa spiegare. Anzi, ad onor del vero, l’unica spiegazione possibile è che il governo ha volutamente cercato lo scontro non solo con la Chiesa ma con l’intero mondo del cattolicesimo politico, assumendo in prima persona l’iniziativa contrariamente a quanto accadde con il divorzio e l’aborto. Sembra quasi una strategia del laicismo azionista per anni soffocato dalle due «chiese politiche», quella democristiana e quella comunista.
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