«Scaglia non poteva non sapere» Così i giudici lo tengono in carcere

MilanoSilvio Scaglia resta in carcere. L’ex ad di Fastweb, a Regina Coeli dal 26 febbraio dopo essere stato travolto dall’inchiesta sulla maxi truffa da 2 miliardi che vede coinvolti anche i vertici di Telecom Italia Sparkle, il senatore del Pdl Nicola Di Girolamo e la cosca della ’ndrangheta degli Arena, incassa il «no» dei giudici del Riesame di Roma. Il ricorso dei suoi legali, i professori Pier Maria Corso e Antonio Fiorella, viene considerato «infondato» dal tribunale. «Scaglia - si legge nel provvedimento firmato da Giuseppe D’Arma, Giovanna Schipani e Alessandra Baffi - era presidente del cda e aveva una visione aziendale assolutamente accentratrice, quasi al limite del dispotico». Un argomento contestato dalla difesa: «Ancora una volta, l’unico argomento utilizzato nei confronti di Scaglia - commentano, preannunciando ricorso in Cassazione - è che egli non poteva non sapere. Argomento che non può stare a fondamento della responsabilità della persona».
Otto pagine di motivazioni con cui i giudici chiudono la porta alle speranze di Scaglia - rientrato in febbraio dal Brasile - di tornare in libertà. È lui, secondo il Riesame, il vertice di una piramide di interessi che hanno ruotato attorno a un sistema di false fatturazioni e servizi fittizi tali da truccare i bilanci delle società e creare fondi neri off shore a disposizione degli indagati. «È un dato assolutamente pacifico la sussistenza dei reati relativi alla frode fiscale». Da un lato, «l’Iva fittiziamente a credito in parte reimpiegata nella realizzazione delle finalità operative» di Fastweb e Telekom Sparkle. Dall’altro, «l’enormità delle poste passive di bilancio, per centinaia di migliaia di euro, costituenti, relativamente all’operazione traffico telefonico, i fittizi pagamenti a favore delle società cartiere, veri e propri fondi neri filtrati in una complessa attività di riciclaggio». Ed è questo uno dei motivi per cui Scaglia resta in cella. Il pericolo di reiterazione del reato. «Il fiume di denaro guadagnato e investito in varie forme è ancora circolante e può essere inserito in ulteriori operazioni illecite, al fine di far perdere le tracce». Ma «su questo punto - ribattono i difensori - non si capisce cosa c’entri Scaglia con il fatto che il denaro illecito circoli ancora. Ricordiamo che non ha come contestazioni il riciclaggio e che è fuori dall’azienda da oltre 3 anni». Ma per il Riesame, l’ex ad sapeva. «Sia che si sia trattato di esborsi solo formali», quelli verso I-Globe e Planetarium (le società cartiere), sia «somme che sono state utilizzate come fondi neri per tutt’altri scopi attraverso società estere compiacenti, in entrambi casi il mancato obiettivo riscontro nella realtà socio-imprenditoriale sottostante al mero dato contabile costituisce la prova più evidente della consapevolezza dei dirigenti e della loro necessaria cooperazione per la buona riuscita della frode, protrattasi non per qualche settimana o qualche mese ma addirittura per due anni». Tanto più che «nessuno fra gli indagati è stato in grado di fornire una giustificazione su una tale macroscopica discrasia». Nell’ordinanza del Riesame vengono riportate anche le dichiarazioni messe a verbale il 27 febbraio scorso da Francesco Micheli, ex socio di Scaglia in eBiscom (poi diventata Fastweb).
«Escludo - dice il finanziere - che la decisione di riprendere tali operazioni commerciali possa essere ricondotta esclusivamente ai manager che se ne occupavano, dato che nella struttura decisionale di Fastweb, che ha carattere piramidale, la decisione ultima su ogni questione risaliva a Silvio Scaglia».

Carlo Micheli, il figlio di Francesco e dirigente Fastweb fino all’aprile 2005, ricorda ancora che «questi business erano fortemente voluti da Scaglia che perseguiva il fine di ottenere gli ambiziosi risultati di bilancio che si era prefigurato». «Apprendiamo - concludono ironici i legali di Scaglia, che presto sarà nuovamente sentito dai pm - che essere accentratori sia un reato».

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