Scajola riaccende le luci sul palazzo delle Corporazioni

Scajola riaccende le luci sul palazzo delle Corporazioni

Laura Gigliotti

Luce nuova per il Ministero delle Attività Produttive, già Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato e storica sede delle Corporazioni a via Veneto. Fu progettato nel 1927 dagli architetti Marcello Piacentini e Giuseppe Vaccaro (inaugurato nel 1932), non lontano dai piacentiniani Albergo Ambasciatori e Banca Nazionale del Lavoro. Per iniziativa del Ministro Claudio Scajola l’illuminazione precedente è stata sostituita da un impianto dell’Enel più potente (160 fonti luminose contro 25), e che utilizza luci radenti, lineari, fluorescenti, che valorizzano gli elementi architettonici e cromatici della facciata, variando a seconda dei materiali illuminati, luce calda sul tufo, luce fredda sui rivestimenti di travertino. A questo si aggiunge un impianto fotovoltaico di EniTecnologie posto sul terrazzo. La prima delle cinque sezioni previste, per una potenza di 14 chilowatt, è già in funzione.
Un’illuminazione che esalta gli elementi architettonici di un edificio straordinario, che invita a entrare, a conoscere i segreti d’arte e di stile che nasconde e che ora un libro a cura di Adriana Capriotti e edito da L’Orbicolare, presentato ieri dal Ministro Claudio Scajola, racconta per immagini.
Chi vede per la prima volta l’imponente scalinata centrale sulla quale campeggia la vetrata-capolavoro di Mario Sironi, prova sensazioni «di stupore e meraviglia, misti ad incredulità», dice il Ministro. Il palazzo in realtà è uno scrigno di opere d’arte, sebbene molte siano andate perdute (le formelle in ceramica di Giò Ponti), e altre siano coperte (gli affreschi mussoliniani di Carpanetti), nello studio del Ministro.
Al rigore formale degli esterni corrisponde la ricchezza decorativa degli interni che ne fanno «una sorta di atipico museo degli anni Trenta». L’équipe artistica è la stessa della Casa Madre dei Mutilati, Sironi, Prini, Romanelli, Drei, Ruggeri. Nascono così la vetrata dai toni drammatici della Carta del Lavoro di Sironi, i sette grandi arazzi del salone d’onore di Ferruccio Ferrazzi che danno una visione «fantastica e visionaria» delle Corporazioni, le tende a filet realizzate a Venezia su disegno di Pio e Silvio Eroli. Piacentini utilizza i marmi con estrema cura, il serpentino verde del pavimento dell’atrio, il porfido della scala d’onore, il granito delle pareti del salone.

Ma è sensibile anche alla modernità dei corrimano in alluminio, di porte metalliche, linoleum, posta pneumatica, riscaldamento a nafta. Cosa da non dimenticare, i dipinti futuristi di Depero e Prampolini furono acquistati per arredare il palazzo alla Biennale di Venezia del ’32.

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