Scatta l’ora del burlesque Le italiane si scoprono allieve di Dita von Teese

Intanto ormai ne parlano tutti: burlesque di qui, burlesque di là, c’è un film (con Cher e Christina Aguilera, da ieri in sala), uno show tv su Sky Uno (mille ragazze al casting, mica due) e un’alluvione di serate nei locali in giro per l’Italia. Spettacoli imperniati su scene comiche sì, ma a sfondo erotico, ispirate dall’attualità, foderate da piume, calze a rete e guepière, farcite di doppi sensi mai troppo doppi perché queste ballerine sono - guai a dimenticarlo - lontanissime dalle lapdancer o dalle spogliarelliste che sanno tanto di night club. È insomma il fenomeno del momento, permeato com’è da un’allure di credibilità artistica, sganciato solo all’apparenza dalle leggi televisive e soprattutto dotato di quel miraggio che è spesso irrinunciabile: il burlesque è l’ultima frontiera. L’ultima frontiera - e lo confessano molte delle aspiranti a Lady Burlesque, il talent di Sky - per mettersi in gioco, per superare la tagliola delle rachitiche misure da top model, per coniugare la sensualità al divertimento senza troppo pensarci su. È la versione riveduta e (s)corretta del velinismo, di cui frantuma le barriere anagrafiche (ad esempio al casting di Sky Uno, di cui ieri è andata in onda la prima puntata, si sono presentate anche ultracinquantenni naturalmente in forma strepitosa) e soprattutto non patisce al momento lo stesso rifrullo perbenista: e difatti, sempre ai casting, i fidanzati delle concorrenti confessano di non essere gelosi e ancora nessuna associazione consumatori ha levato qualche strillo. In fondo il burlesque è germogliato a metà sui palcoscenici dell’Ottocento, prima in Gran Bretagna (dove è vecchio come il cucco visto che persino il duca di Buckingham scrisse un’opera burlesque: era il 1671) e poi in America, già, proprio nei saloon del Far West, dove era chiamato «the poor man’s folies», le follie dei poveri. Dopo gli anni Trenta del Novecento è andato a riposo perché, si sa, lo spogliarello integrale ha fracassato ogni risvolto artistico per lasciar spazio alla curiosità pelosa e godereccia degli spettatori. Ma gli anni Novanta, sapete con quella voglia inarrestabile di vintage, l’hanno ritirato fuori dalla nicchia grazie a macchine da eros come Immodesty Blaize, le Pontani Sisters e soprattutto Dita Von Teese, che ne è diventata l’ambasciatrice in tutto il mondo, Italia compresa. E proprio il suo passaggio al Festival di Sanremo dell’anno scorso, seminuda dentro un calice, ha lasciato a bocca aperta l’Ariston e seminato la voglia di burlesque persino qui da noi, che abbiamo sempre trattato con indifferente nonchalance il vaudeville e la clownerie da cui questo genere attinge a piene mani, robetta insomma per chi vanta di aver la lirica o la tragedia nel genoma. Eppure il burlesque oggi è il fenomeno del momento e bastano due chiacchiere per la strada o in metropolitana a dare la misura del fermento: tanta apparente ritrosia c’è all’idea di spogliarsi per la tv, quanto entusiasmo c’è per la prospettiva di farlo su di un palco con l’etichetta burlesque. E forse tutto questo scassinerà anche i luoghi comuni sulle misure fisiche. Al casting di Sky, ma non solo lì, le ragazze non sono stecchini pseudoanoressici cresciuti a yogurt e barrette dietetiche ma donne pienamente mediterranee, spesso di lineamenti bellissimi, insomma burrose come fossero Bettie Page eppure sensuali e dichiaratamente misteriose con Marlene Dietrich fissa in mente.

In scena, poi, vince l’emozione più che la tecnica (e infatti la giuria di Lady Burlesque dal 25 marzo giudicherà questo) e a battere tutto, persino l’abbigliamento più o meno provocante e riuscito, sarà quell’impalpabile talento di saper eccitare con il sorriso, giocando perché ci si prende gioco di sé, smontando passo dopo passo (di danza) il castello di luoghi comuni che spesso impone alla donna la paura della propria sensualità.

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