Dopo lo schiaffo di Londra ci vuole un’altra Europa

L’Italia ha dato un contributo fondamentale per salvare la Ue. Ma ora l’allargamento ai Paesi dell’Est è paralizzato

Gli Stati europei stanno tentando di fare - tardi - quello che si sarebbe dovuto fare prima. Creare un fondo europeo che abbia i soldi necessari a salvare gli Stati in crisi come la Grecia. Londra non ci sta, fa molti distinguo. Insomma, la Gran Bretagna si è messa di traverso. Berlusconi e Sarkozy avevano trovato un accordo per la creazione di questo fondo europeo. Con quali scopi? Con lo scopo fondamentale di stabilizzare la moneta, l’euro, e dunque l’economia della cosiddetta Eurozona.

Del resto dal 1946 a oggi il Fmi si è adoperato, e continua a farlo, per stabilizzare l’economia mondiale prestando soldi ai Paesi che sono in crisi per evitare che le crisi peggiorino e portino al fondo anche gli altri Paesi nella logica di quello che ha detto il ministro Tremonti: «Quando la casa del vicino va a fuoco è tutto il villaggio che è a rischio». Quando un Paese non è più in grado di restituire i suoi debiti, la fiducia nei confronti di quel Paese precipita vertiginosamente. I mercati non credono più in quel Paese che, a quel punto, per continuare a farsi prestare soldi deve offrire degli interessi altissimi e così facendo si indebita sempre di più fino al limite del fallimento. Esattamente come è accaduto in Grecia. La crisi finanziaria porta sempre con sé la crisi dell’economia reale, quella dei consumi, per intenderci, e della produzione. E questo è un male per tutti. L’economia, oggi, assomiglia sempre di più al sistema circolatorio del corpo umano: alla fine se non funziona in un solo punto ne risente tutto il sistema. Se un Paese compra meno prodotti, gli altri Paesi ne vendono meno e se i Paesi vendono meno hanno meno soldi per comprare. Un circolo vizioso tremendo e ineluttabile.

Per questo è estremamente positiva, anche se tardiva, la decisione dell’Europa d’intervenire ed è estremamente negativa la decisione degli inglesi di chiamarsi fuori. Perché l'economia è appunto una e se va male va peggio per tutti.
Intendiamoci, non che la cosa meravigli più di tanto. Anzi non meraviglia proprio per niente. Il Paese della sterlina non crede all'Europa o, meglio, come ricordava spesso l’economista Samuel Brittan, a questa Europa. All’Europa delle lentezze, delle inefficienze, dei vincoli inutili al mercato e dell’assenza - invece - delle regole, dei controlli e delle sanzioni necessarie. Da questo punto di vista certamente è difficile dar loro torto, anche se non possiamo non rilevare la loro cecità nel tenersi fuori dall’aiutare i Paesi del continente senza il quale anche la loro economia certo non andrebbe meglio. Da questo punto di vista è giusto ricordare e ripetere che la disponibilità di Washington a intervenire con 30 miliardi messi a disposizione dal Fondo monetario mostra maggiore lungimiranza. Anche questo non sorprende. Obama ha spinto più di ogni altro (a esclusione di Berlusconi, è bene ricordarlo) Angela Merkel a intervenire e l’Europa a muoversi alla velocità richiesta e con l’apporto finanziario necessario.

Di fronte a un’Europa che non perde occasione per dimostrarsi debole o, comunque, molto instabile politicamente e incerta sul da farsi, la Gran Bretagna fa la voce grossa. Sbaglia, ma lo fa. Farebbe così anche se l’Europa fosse diversa e si fosse mostrata sin dall'inizio come avrebbero voluto Berlusconi e Sarkozy e non come ha voluto la Merkel? Probabilmente no. L’Europa non si rende forte né con i discorsi, né con le moine. Lo si fa con i fatti e con le decisioni. Gran Bretagna o meno, le decisioni prese, grazie al contributo fondamentale dell’Italia, vanno nella direzione giusta. Non è tutto ma la direzioni in questi casi è importante.

La domanda di fondo che comunque rimane nell’aria è se l’Europa che abbiamo conosciuto fin qui ci sarà ancora oppure no. La decisione degli inglesi di non aderire al Fondo, pur non sorprendendoci, è certamente una botta senza precedenti all’Ue. L’atteggiamento della Germania è stato talmente deciso che non ha precedenti. A questo punto l’allargamento ai Paesi dell’Est certamente accusa un colpo con effetti paralizzanti. Il nostro parere è che questo è il frutto di un’idea di Europa sbagliata fatta di intenzioni che alla prima onda si sono sfracellate contro gli scogli della realtà.

Anche chi, come noi non è mai stato convinto di questa Europa, ora più che mai sa che se non si procede rapidamente rimettere l’impalcatura in sesto potrebbe cadere a terra. Quello che più ci preoccupa è che non vorremmo rimanerci sotto perché come cittadini non ne abbiamo nessuna colpa.

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